Un altro insuccesso delle riforme degli ultimi quindici anni è stato il non essere riusciti a diffondere, nelle PA, la cultura della valutazione. Invece, valutare è essenziale se si vuole davvero spingere le P.A. verso livelli di efficienza e di qualità più elevati.
Sennonché, come valutare senza misurare?
Anche in questo campo, occorre fare tesoro dell'esperienza e degli insuccessi degli ultimi quindici anni, per non trovarsi, fra altri anni, a constatare un nuovo fallimento.
In primo luogo, allora, occorre promuovere la sistematica misurazione — che oggi manca — dei servizi erogati dalle P.A. alla collettività. Per ciascuna tipologia di servizio dovrebbero essere adottati standard e parametri a livello nazionale, così da consentire confronti non solo verticali (diacronici), ma anche orizzontali (territoriali). Un tale sistema sarebbe, tra l'altro, il presupposto per l'attuazione dell'art. 117, lett. a), della Costituzione che prevede la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ».
In secondo luogo, va sgombrato il campo da un malinteso che offre, seppur involontariamente, pretesti agli avversari (interessati) del cambiamento nelle P.A.. Il malinteso è questo: per misurare e valutare i servizi delle P.A. e l'azione dei dirigenti e del personale pubblico non basta utilizzare acriticamente gli strumenti del settore privato. Anche nelle P.A. è possibile misurare e valutare, ma per farlo è necessario introdurre, nelle tecniche di misurazione e valutazione, gli adattamenti richiesti dalle specificità del settore e, in taluni casi, elaborare indicatori e parametri ad hoc.
Infine, occorre distinguere e attivare due diversi tipi di misurazione e valutazione, che rispondono a finalità differenti:
a) misurazione e valutazione dei servizi e delle performances della intera amministrazione od ente, nonché dei diversi suoi uffici;
b) misurazione e valutazione delle prestazioni individuali, sia dei dirigenti che del restante personale.
Purtroppo, nel nostro Paese questa distinzione non è stata fatta, e oggi ne paghiamo il prezzo. Dalla legge-quadro sul pubblico impiego (n. 93 del 1983) in poi, tutti i tentativi di valutare si sono concentrati, nelle nostre P.A., pressoché soltanto su risultati e prestazioni individuali dei dipendenti, e sono stati gestiti come procedura burocratica — all'unico fine di erogare incentivi economici a dirigenti e altri dipendenti — e non come azione sostanziale di management.
L'esito — evidenziato da anni dalla Corte dei conti agli operatori del settore ed emerso, di recente, anche all'attenzione dei mass media — è stato fallimentare: salvo eccezioni sempre più rare, tutti sono stati valutati al meglio o, se non vi si è riusciti, è stato per motivate giustificazioni; gli incentivi economici sono perciò stati erogati a tutti e, se proprio è stato necessario distinguere, il riequilibrio è stato ottenuto erogando gli incentivi a turno, ora all'uno ora all'altro.
Tutto questo, però, non è avvenuto (solo) a causa di ignavia o per la pervicace e malevola volontà di organi di governo, dirigenti e sindacati delle P.A., ma piuttosto perché, nel perseguire la «politica della valutazione e degli incentivi» al personale, si sono ignorate poche e semplici realtà:
a) per essere credibile, nonché proficua per l'amministrazione, la valutazione deve essere quanto più possibile oggettiva; sennonché, è difficile — per non dire impossibile — compiere valutazioni oggettive e credibili sui singoli, se separate da una più complessiva valutazione delle performance (efficienza, qualità dei servizi) dell'amministrazione o ufficio cui dirigente e dipendente valutati appartengono;
b) nel settore pubblico, a differenza che nelle imprese, la valutazione individuale (e l'erogazione dei conseguenti incentivi economici) deve necessariamente essere effettuata — in ossequio ai principi costituzionali sull'azione delle P.A. — in modo pubblico, trasparente e formalmente motivato, ed è suscettibile di ricorso al giudice amministrativo;
c) mancando di agganci «oggettivi» alle performances dell'amministrazione o del servizio, ed esposta alla verifica sia dei diretti interessati che pubblica, la valutazione dei risultati/prestazioni individuali ha finito con l'essere percepita, da organi di governo e dirigenti delle P.A., come fonte di tensioni e di effetti demotivanti superiori ai vantaggi: accontentare pubblicamente pochi per scontentare molti non è utile ai fini del «clima aziendale» e, alla fine, produce più conflitto che funzionalità, più inefficienza che qualità.
Si deve, allora, rinunciare a valutare le prestazioni del personale delle P.A.?
Si deve rinunciare a legare parte della retribuzione ai risultati conseguiti?
Occorre, più in generale, abbandonare il tentativo di diffondere nelle P.A. la cultura della misurazione e valutazione?
Naturalmente no. Però è necessario mutare il metodo.
Perché la cultura della misurazione/valutazione si imponga anche nelle PA, è essenziale puntare in primo luogo su ciò che maggiormente interessa ai cittadini e imprese utenti: efficienza e qualità dei servizi resi dall'amministrazione.
Si deve, in altri termini, uscire dalla logica — tutta interna al rapporto amministrazione-sindacati-personale — per cui la valutazione serve principalmente ad attribuire una quota della retribuzione, per restituire all'attività di misurazione/valutazione la finalità primaria: evidenziare se l'amministrazione eroga alla collettività i servizi per i quali è stata creata e se questi servizi possono essere migliorati o resi meno costosi.
Detto in altro modo ancora: la misurazione/valutazione dei risultati dei dirigenti e delle prestazioni lavorative dei dipendenti è un mezzo, non un fine. È un mezzo diretto a migliorare il rendimento dell'amministrazione agendo sul rendimento dei singoli.
Sarebbe allora ben strano se si omettesse di misurare/valutare il conseguimento del fine (il rendimento dell'amministrazione) e si continuasse a voler misurare/valutare soltanto il mezzo (il rendimento dei singoli dipendenti).
Accanto a questa considerazione logica ve ne è, poi, una molto più pratica: misurare l'efficienza e qualità dei servizi resi dalle P.A. è tecnicamente assai più agevole che non misurare le prestazioni individuali del personale. È sufficiente, infatti, individuare pochi parametri essenziali, adatti alla specifica amministrazione e corrispondenti agli effettivi bisogni degli utenti.
Le tecniche, e solo per citarne alcune, possono essere puramente quantitative (raggiungimento di un livello di servizio dato), o comparative tra performances di uffici che svolgono la stessa attività (per esempio, tra uffici periferici dello stesso ente), o comparative tra performances nel tempo della medesima amministrazione o ufficio.
Un sistema di misurazione dei servizi pubblici organico, sistematico e diffuso a livello nazionale avrebbe tre fondamentali funzioni:
a) offrirebbe ai cittadini, alle imprese e, in generale, alla pubblica opinione, informazioni trasparenti sul livello delle prestazioni, consentendo agli utenti sia di adottare scelte e comportamenti conseguenti, sia di agire per ottenere eventuali miglioramenti;
b) fornirebbe agli organi di governo e ai dirigenti delle amministrazioni dati fondamentali per elaborare politiche pubbliche e scelte gestionali;
c) assicurerebbe gli strumenti conoscitivi per una razionale e credibile valutazione/incentivazione economica dei dirigenti e del restante personale delle P.A..
A proposito della incentivazione, poi, si apre una ulteriore riflessione. Visti gli esiti per lo più assai deludenti di oltre venti anni di sperimentazione degli incentivi individuali nelle P.A., perché non seguire, anche nel settore pubblico, un metodo che sempre più si va diffondendo nelle imprese: la retribuzione di risultato legata non alle performances individuali, ma a quelle dell'azienda, o di suoi settori o strutture?
Anche il settore privato ha scoperto, infatti, che la politica degli incentivi individuali non sempre produce effetti soddisfacenti perché stimola forme di competizione fra dipendenti che, quando esasperate, possono deteriorare il clima aziendale e spinge verso l'individualismo piuttosto che verso il senso di squadra, con riflessi negativi sul funzionamento complessivo dell'organizzazione.
La soluzione non di rado preferita è, perciò, quella di un mix tra forme di incentivazione collettiva, legate alle performances aziendali (o di struttura, o di gruppo), e forme di incentivazione individuale, legate a particolari prestazioni o risultati personali.
L'adozione, nel settore pubblico, di sistemi di retribuzione di risultato legati alle performances collettive dell'intera amministrazione o di suoi settori presenterebbe tre vantaggi:
a) legherebbe l'incentivo economico a risultati che sono di immediato interesse per gli utenti;
b) favorirebbe lo «spirito di squadra» fra il personale, stimolando anche i meno volenterosi e alimentando una cultura aziendale non acquiescente verso coloro che non concorrono allo sforzo comune;
c) in quanto portata ad unire anziché a distinguere o dividere, incontrerebbe, presumibilmente, maggior favore nei sindacati.
Va poi sottolineato che l'utilizzazione diffusa dei premi legati alla produttività collettiva nelle P.A. favorirebbe, in prospettiva, anche il successo di forme di retribuzione legate alle performances individuali.
Essa stimolerebbe, infatti, la diffusione della cultura della misurazione/valutazione, e offrirebbe il parametro oggettivo oggi mancante per poter costruire sistemi di valutazione delle performances individuali percepiti, dagli interessati, come non arbitrari, credibili ed equi.
Avviare questo nuovo percorso non sarebbe difficile. Basterebbe invertire la logica che oggi presiede alla utilizzazione del «fondo di amministrazione» istituito, in base ai CCNL, presso ogni P.A..
In via di principio, già oggi i CCNL finalizzano prioritariamente le risorse di tale fondo «a promuovere reali e significativi miglioramenti nei livelli di efficienza/efficacia dell'amministrazione e di qualità dei servizi istituzionali, mediante la realizzazione ... di piani produttivi annuali e pluriennali e di progetti strumentali e di risultato».
In concreto, però, e smentendo il principio subito prima enunciato, gli stessi CCNL fanno poi gravare, sul fondo di amministrazione, la copertura di una gran quantità di trattamenti individuali fissi e accessori, compresi gli oneri delle progressioni economiche individuali di categoria o fascia, i compensi per lavoro straordinario e turnazioni, molte indennità particolari, ecc.
Nella pratica, poi, dei contratti collettivi integrativi, cui è demandata la precisazione dei parametri e delle modalità di erogazione delle risorse, soltanto una quota residua e alquanto ridotta dei fondi è realmente destinata a remunerare il miglioramento, effettivo e documentato, della quantità e qualità del servizio erogato.
Il risultato è una discutibile concorrenza tra miglioramento dei servizi e carriera economica individuale dei dipendenti, giacché gran parte delle risorse che dovrebbero incentivare produttività e qualità va a finanziare gli incrementi della retribuzione fissa del personale o aspetti della prestazione lavorativa individuale che comunque hanno, sul servizio, un impatto limitato o molto mediato.
In una diversa prospettiva, per esempio, ove si volesse lanciare un «programma nazionale decennale per la produttività e la qualità delle PA», si dovrebbero, invece, distinguere nettamente risorse destinate a migliorare il servizio, da incrementare e privilegiare, e risorse destinate alle progressioni economiche individuali o ad indennità varie del personale, da sottoporre a forte contenimento.
La via sembra già sperimentalmente tracciata dal Ministero dell'Economia e finanze. Dal 2004, infatti, una quota parte delle maggiori somme recuperate attraverso le attività di controllo fiscale e di vendita di immobili statali e dei risparmi realizzati attraverso i miglioramenti della gestione della tesoreria e del debito pubblico è destinata, con decreto del ministro, a premiare il personale degli uffici che hanno conseguito gli obiettivi programmati di miglioramento della produttività e del servizio. Questa dotazione finanziaria è ripartita tra gli uffici interessati in base all'apporto di ciascuno agli obiettivi.
Dunque, si tratta di una forma di incentivazione collettiva, legata alla registrazione di effettivi miglioramenti del servizio.
Stralcio della nota n° 29 - 2012 ISRIL on line
CINQUE PROPOSTE PER UNA REALE FUNZIONALITÀ DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
Presidente prof. Giuseppe Bianchi
gbianchi.isril@tiscali.it
www.isril.it
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