giovedì 31 marzo 2011

LA UIL PA MEF SI ATTIVA PER DENUNCIARE I MINISTRI TREMONTI-BRUNETTA

Mi comunica Claudio (un nostro lettore) e pubblico

Gravissima situazione dei dipendenti dello Stato a causa del decreto di dismissione delle Direzioni Territoriali Economia e Finanza (DTEF) e relativo passaggio alle Ragioneria Territoriali dello Stato (RTS), che è partito dal 1 Marzo 2011. Stiamo parlando di uffici che hanno gestito le partite stipendiali di impiegati, -a vario titolo, dei vari ministeri-, e che oggi non esistono più.
Ma cosa sta veramente accadendo a milioni di statali che avevano un punto di riferimento per la loro partita di stipendio?
1. Con la soppressione delle DTEF le competenze sono passate alle RTS, ma in molti casi non sono transitati i dipendenti che prima ci lavoravano ed in altre province sono passati solo in parte.
2. È stato deciso di iniziare un percorso che doveva essere avviato con notevole anticipo e con una
adeguata riorganizzazione dei servizi delle RTS e formazione del relativo personale.
3. L’utenza non è stata informata per tempo, rispetto ai cambiamenti, meglio dire stravolgimenti, che stanno causando ritardi ingiustificati per la riscossione delle proprie competenze.
4. Non si è tenuto conto, in passato, della professionalità dei colleghi delle ex DTEF, non si è tenuto
conto della professionalità dei colleghi delle RTS, scaraventati al ‘Front Office’ come ‘carne da
macello’, pronti ad essere addentati dalle fauci degli utenti inferociti (giustamente).
5. Quindi gli scenari che si sono creati sono di vera drammaticità da parte dell’utenza che non ha più un punto di riferimento al quale rivolgersi. Oltre a trovare degli uffici chiusi, non trovano più le persone che davano soluzione ai molti problemi.
6. Gli uffici di Servizio da una parte sono “nel Pallone” e le RTS si sono viste arrivare nuove competenze e poco personale, ed anche loro non sanno che cosa fare e non sanno dare risposte agli utenti.
7. Le applicazioni informatiche ed i sistemi si sono rivelati inadeguati a supportare il traffico di dati che si sono venuti a creare, aumentando il disagio dell’utenza.
8. L’unico punto di riferimento rimane il Call Center di Latina, che oltre a spiegare quello che è successo, non riesce a dare risposte risolutive ed a smaltire le migliaia di telefonate che in ogni momento arrivano, subendo ingiustamente gli improperi ed il disagio da chi sta ricevendo il danno.
9. La beffa arriva quando l’utente deve esprimere il suo grado di soddisfazione (Customer Satisfaction), e non avendo avuto risposte adeguate per le sue esigenze, si scaglia contro l’operatore ed esprime un parere negativo, (con le famose FACCETTE ROSSE). Ma quale risposta bisogna dare se l’Amministrazione non da risposte adeguate da fornire agli utenti?

Da queste nefande SCELTE SCELLERATE, che sta destabilizzando la vita a centinaia di migliaia di statali che sono al servizio della società, emerge chiaro il disegno che viene da lontano, dello smantellamento sistematico della P.A. CHE FUNZIONA. Per questa ragione la UIL PA MEF si sta attivando al fine di denunciare i Ministri Tremonti-Brunetta, autori e responsabile di questo sfracello.

martedì 29 marzo 2011

Decalogo dei giudici per Facebook in ufficio

Articolo di Aldo Bottini pubblicato su www.ilsole24ore.com

Le interferenze tra social network e rapporto di lavoro sono sempre più frequenti. Alle aziende conviene perciò adeguare le proprie policy, dettando regole chiare per l'utilizzo di Facebook – che è il più diffuso – e degli altri social network.
Un primo gruppo di questioni riguarda l'accesso durante l'orario e sul posto di lavoro. Si tratta di tempo impiegato in un'attività extralavorativa durante l'orario di lavoro e quindi sottratto alla prestazione contrattualmente dovuta al datore di lavoro. È stata coniata al riguardo l'espressione "assenteismo virtuale".

Siamo certamente nel campo dell'inadempimento, che potrà avere conseguenze disciplinari più o meno gravi a seconda della quantità di tempo sottratto al lavoro, della sistematicità del comportamento e delle concrete circostanze del caso. Quasi sempre, poi, gli accessi dal posto di lavoro avvengono utilizzando strumenti aziendali (pc, server e connessione internet), il che può porre problemi di sicurezza del sistema.

Alcuni datori di lavoro affrontano il problema "razionando" i tempi di accesso o limitandoli alla pausa pranzo; altri, rischiando l'impopolarità, lo risolvono bloccando a monte, con un intervento sul sistema, la possibilità di accedere a Facebook e agli altri social network. Si tratta in entrambi i casi di provvedimenti legittimi. Anzi, il blocco preventivo è considerato dal Garante della Privacy, nelle sue Linee Guida per posta elettronica e internet del 1° marzo 2007, preferibile all'effettuazione di controlli successivi, dai quali può derivare un trattamento di dati personali del lavoratore, anche sensibili.

Non va dimenticato, infatti, che i controlli sugli accessi a internet (e quindi anche a Facebook) dal posto di lavoro sono ben possibili, a condizione che il datore di lavoro si doti di una policy sull'utilizzo degli strumenti informatici che disciplini (anche) tempi e modalità dei controlli medesimi, meglio se "validata" da un accordo sindacale o da un'autorizzazione dell'Ispettorato del Lavoro.

Una seconda questione riguarda le possibili conseguenze per il lavoratore – fino al licenziamento – della diffusione di commenti negativi sul proprio datore di lavoro o di informazioni riservate sull'attività aziendale. Facebook, per i suoi stessi meccanismi, è un ambiente pubblico o quantomeno semi-pubblico. Quindi, per i commenti e le opinioni espresse dal lavoratore sul proprio datore di lavoro, si pone lo stesso problema di bilanciamento tra diritto di critica e dovere di fedeltà e riservatezza più volte affrontato dalla giurisprudenza con riferimento a dichiarazioni diffuse tramite giornali, televisioni e altri mezzi di manifestazione del pensiero. La Cassazione, al riguardo, ha più volte affermato che il diritto di critica del lavoratore è sottoposto a peculiari limiti in considerazione degli obblighi di collaborazione e fedeltà che gravano sul dipendente.

E così potranno essere disciplinarmente sanzionabili anche i commenti denigratori che possano recare danno all'impresa, tanto più se arbitrari e gratuiti, così come la diffusione di notizie e informazioni riservate. Naturalmente, spetterà al giudice valutare in concreto la gravità del fatto e, quindi, la proporzionalità della sanzione eventualmente irrogata dal datore di lavoro al dipendente, tenendo conto del contenuto delle dichiarazioni, dell'ambito di pubblicità e della finalità delle medesime, dell'intenzionalità della condotta.

Un'ultima questione riguarda l'abitudine, ormai piuttosto frequente, di utilizzare Facebook per attingere informazioni sui candidati all'assunzione. Questo comportamento viene sovente giustificato con il fatto che si tratta di informazioni personali che lo stesso soggetto sceglie di rendere in qualche modo pubbliche, quantomeno in ambiti particolari ("amici" o "amici degli amici"). Ma il problema è un altro.

L'articolo 8 dello Statuto dei Lavoratori, richiamato anche dal Codice della Privacy, vieta qualsiasi indagine, anche pre-assuntiva, non solo sulle opinioni del lavoratore, ma anche su qualsiasi fatto che non sia rilevante ai fini della valutazione dell'attitudine professionale. La ricerca di informazioni personali sul candidato tramite Facebook è quindi da considerarsi illecita, ma è anche pericolosa per chi la effettua, dal momento che la violazione dell'articolo 8 dello Statuto dei lavoratori è sanzionata penalmente.

mercoledì 23 marzo 2011

Busta paga online

Oggi giorno di paga al ministero, ma grazie alla grande abilità del nostro servizio informatico, il cedolino unico online è diventato un calvario.
Prima alcuni dipendenti non visionavano la loro busta paga ma quella di qualche collega, poi ......il buio totale.

Bravi , proprio bravi!

martedì 22 marzo 2011

Sui siti della Pa trasparenza ma con vincoli

Articolo di Antonello Cherchi pubblicato su www.ilsole24ore.com


Più trasparenza per la pubblica amministrazione, ma senza dimenticare la privacy. Internet ha dato un forte impulso alla pubblicazione di documenti da parte degli uffici pubblici e così hanno voluto anche recenti normative, sfociate nel programma triennale per la trasparenza e l'integrità che ogni amministrazione è tenuta ad adottare. Non si può, però, dimenticare che in molti casi si tratta di mettere in circolo dati personali ed è per questo che il garante della privacy ha messo a punto un articolato provvedimento con il quale indica le modalità di diffusione degli atti delle pubbliche amministrazioni.
Le linee guida – che dopo essere state sottoposte a una consultazione generale sono state pubblicate sulla «Gazzetta Ufficiale» 64 del 19 marzo – affrontano diversi aspetti della diffusione online di documenti pubblici, con la consapevolezza che i vari interventi legislativi succedutisi nel tempo hanno introdotto una «forte frammentazione della disciplina».

Il presupposto da cui partire è che possono essere messi sulla rete atti contenenti dati personali solo se c'è una legge o un regolamento che lo prevede, fermo restando il divieto di pubblicazione dei dati sulla salute. Per esempio, una sicura copertura legislativa è data dal programma triennale sulla trasparenza. In particolare, dalle linee guida predisposte in tal senso dalla Civit. Le pubbliche amministrazioni possono anche valutare di andare oltre le indicazioni della Civit, ma in questo caso devono motivare adeguatamente la scelta nell'ambito del programma triennale. E comunque, devono sempre tenere presenti i principi di necessità, proporzionalità e pertinenza dei dati pubblicati.

Più nel dettaglio e limitandosi ad alcuni esempi, possono finire su internet informazioni sulle retribuzioni dei dipendenti pubblici o sulla loro produttività (ma non, per esempio, notizie particolari sui cedolini dello stipendio, su aspetti particolari della dichiarazione dei redditi, sugli orari di entrata e uscita, sul domicilio privato). Possono, altresì, essere messi online i curricula di dirigenti, segretari comunali e provinciali, ma non in maniera integrale: vanno, infatti, omessi i dati strettamente personali non pertinenti con le finalità della trasparenza.
Via libera anche alla pubblicazione online, senza vincoli, dei risultati delle prove di concorso e delle graduatorie finali. È anche possibile pubblicare altre informazioni, ma che devono essere accessibili, attraverso password o altri filtri, solo a chi ha partecipato al concorso. Si pensi, per esempio, ai verbali o a eventuali titoli di precedenza o preferenza accordati ad alcuni candidati.
Il garante ha inoltre raccomandato che tutte le informazioni siano rintracciabili attraverso modalità di accesso interne al sito su cui vengono pubblicate, piuttosto che mediante motori di ricerca esterni. E questo per evitare che i dati personali finiscano per essere decontestualizzati e anche una volta diventati vecchi continuino a circolare per internet, non garantendo il diritto all'oblio degli interessati.
Altra raccomandazione è che le informazioni stiano in rete per periodi ben precisi, che, laddove non siano espressamente indicati da disposizioni di legge, devono essere le stesse pubbliche amministrazioni a individuare.

lunedì 21 marzo 2011

«Cura Brunetta» a singhiozzo

Articolo di Gianni Trovati pubblicato su www.ilsole24ore.com

In Italia la sfida dell'efficienza pubblica è sinonimo, nel bene e nel male, di «riforma Brunetta»: lo è da due anni, da quando, nel marzo del 2009, il parlamento ha approvato la legge delega che ha aperto le danze. È una storia condita da qualche successo, molte partite aperte e alcuni inciampi, tutti accompagnati da un dibattito acceso fra tifosi e affossatori. Un confronto-scontro che non sempre ha aiutato a capire la portata reale delle novità.

Lotta ai «fannulloni»
È stata l'antipasto della riforma, il suo marchio di fabbrica iniziale grazie a una scelta comunicativa «audace», e ne rappresenta ancora oggi uno dei risultati più solidi. L'innesco sono state le sanzioni contro le malattie brevi, che hanno tagliato lo stipendio accessorio dei dipendenti pubblici nei primi giorni a casa e hanno fatto colare a picco i tassi di assenteismo. I primi mesi sono stati scanditi dalle tabelle ministeriali che mostravano (con qualche contestazione da parte della Cgil) crolli tra il 40 e il 50% nel numero di scrivanie abbandonate, poi ovviamente la curva si è stemperata e qualche inversione di tendenza non è mancata. A regime, comunque, gli uffici sono decisamente più pieni: gli ultimi dati, realizzati come sempre insieme all'Istat, mostrano che in media le presenze sono superiori di oltre il 30% rispetto all'epoca pre-sanzioni.

Cambia l'organizzazione
Tutti alla scrivania, dunque, ma a fare cosa? Di questo tema, più complicato, si è occupata la riforma vera e propria, quella scritta nel decreto attuativo della delega approvato a ottobre del 2009.
Qui la questione si fa complessa, gli attori coinvolti sono più numerosi, e i risultati per ora sono più sfumati. Il pallino, in realtà, è in mano soprattutto ai dirigenti, chiamati a fissare in modo sistematico gli obiettivi di uffici e dipendenti, mettere nero su bianco un «piano delle performance» attese e, a consuntivo, far valutare il tutto agli «organismi indipendenti», i nuovi giudici del lavoro pubblico.
Dietro alla teoria si nasconde molta pratica, perché le «performance» possono banalmente essere i tempi di smaltimento delle procedure, il numero di permessi o di documenti rilasciati, e così via. Il 2011, però, per il nuovo sistema è solo l'anno del debutto che per di più, complice la crisi economica, sarà solo parziale.

E i premi?
Già, perché un calendario «sfortunato» ha travolto l'avvio di uno degli snodi cruciali della pubblica amministrazione «modello Brunetta», quello dei premi ai migliori. Castigati i fannulloni, è la strategia del ministro, bisogna premiare i volenterosi, e la riforma prevedeva di gonfiare le loro buste paga anche del 20-30 per cento. La manovra «salva-deficit» dell'estate scorsa, però, ha bloccato per tre anni i rinnovi contrattuali, e ha tagliato le gambe alla meritocrazia: i premi «superstiti» sono drasticamente inferiori, saranno alimentati da un «dividendo dell'efficienza» ancora da individuare e, come contropartita, a tutti i dipendenti sarà assicurato di non perdere un euro rispetto al 2010. Se l'efficienza non «paga», il suo contrario non «castiga», ma il cuore economico della riforma viene rimandato a un futuro non troppo vicino (2014).

Tecnologia e trasparenza
Il consuntivo è in chiaro-scuro anche per il capitolo «digitale» della riforma. L'operazione trasparenza ha riversato su internet nomi e compensi di migliaia di dirigenti pubblici, amministratori di società partecipate e consulenti, e soprattutto in quest'ultima categoria ha favorito una buona dose di autoregolamentazione: sulle prime infornate di dati i giornali nazionali e locali si sono buttati a pesce, e il timore di vedersi chiedere conto degli incarichi deve aver frenato qualche «consulenza facile». L'entusiasmo iniziale si è però allentato insieme ai controlli, e trovare gli elenchi di molti enti è tornato difficile. Anche il decollo della sanità elettronica è più difficile del previsto: i certificati online sono ormai una realtà, dopo mesi di tira e molla, mentre la ricetta elettronica è una promessa, che si è incagliata per mesi all'Economia insieme ai miliardi di risparmi annunciati. Ferma ai box, al momento è anche la semplificazione targata Calderoli, nucleo essenziale della «scossa» all'economia prevista dal governo; ma questa è un'altra partita.

gianni.trovati@ilsole24ore.com

venerdì 18 marzo 2011

RTS e DTEF

Ricevo dalla UIL/PA e pubblico

Con il decreto di riallocazione degli uffici territoriali, il MEF ha chiuso il capitolo “soppressione” delle DTEF.
Stupore è la prima sensazione, incredulità per chi potrebbe pensare che alla base di tutto c’è un
ragionamento sano.
Stiamo parlando di uffici che hanno gestito le partite stipendiali di impiegati, a vario titolo, dei vari ministeri, con le difficoltà derivanti dalla fuoriuscita dei colleghi prima all’INPDAP e poi all’INPS.
Per non parlare del blocco del turn‐over che non ha garantito quel ricambio che di volta in volta ha fatto si che ognuno di noi dovesse incrementare un carico di lavoro mai più definito.
Da questo ragionamento, emerge chiaro il disegno che viene da lontano, dello smantellamento sistematico della P.A. che funziona.
A tutt’oggi il vaso delle nefandezze compiute è sempre più colmo, ma, non tarderà certo a traboccare, se non altro, per le problematiche che inevitabilmente ricadranno su quell’utenza che non è stata informata per tempo, rispetto ai cambiamenti, meglio dire stravolgimenti, che causeranno ritardi biblici per la riscossione delle proprie competenze.
Per fare un esempio, ma nella stessa situazione si trovano molteplici province:
La DTEF di Palermo, 106 dipendenti, 77 dei quali trasferiti ad AAMS.
Chi può pretendere che i 29 colleghi rimasti possano sostenere il carico di quelli trasferiti?
Teniamo presente, peraltro, che i colleghi che operavano presso la CMV hanno optato, in blocco, per AAMS: chi potrà sopperire alla conseguente dispersione di professionalità?
Il lampo di genio dell’Amministrazione esce fuori con la parola “affiancamento” che sta creando più confusione che altro, e non si riesce a capire come con una circolare con firma congiunta BAFFI - CANZIO si possa obbligare dipendenti in altri ruoli in questa procedura.
Non si è tenuto conto, in passato, della professionalità dei colleghi delle ex DTEF, non si terrà conto della professionalità dei colleghi delle RTS, scaraventati al front‐office come carne da macello pronti ad essere addentati dalle fauci degli utenti (giustamente) inferociti.
È stato deciso di iniziare un percorso che doveva essere avviato con notevole anticipo e con una adeguata riorganizzazione dei servizi delle RTS e del relativo personale.
Da tanti uffici sono venute fuori grida di disperazione da parte di quei lavoratori che non sanno più cosa farsene della propria professionalità. I lavoratori devono per definizione essere pronti a tutto anche a snaturare una vita di sacrifici, con lo spirito di abnegazione che caratterizza i cosiddetti “fannulloni” perseguitati dal ministro di turno.
Giova sottolineare, inoltre che la cosiddetta riforma ha avuto effetti, assolutamente non uniformi, a livello nazionale, determinati da una mobilità verso AAMS, non stabilita a monte, che ha causato disagi diversi nelle varie sedi in virtù del numero dei dipendenti trasferiti. Chi ha stabilito i nuovi carichi di lavoro? Tanta era la fretta per partorire il decreto ministeriale che è stato ritenuto un aspetto secondario contrattarli unitamente agli organici.
Di una cosa siamo certi: difficilmente si potranno realizzare le finalità previste da questa riforma che ha determinato un duplice e considerevole costo, sia finanziario che in termini di efficienza posto ad esclusivo carico di lavoratori ed utenti.
Se tutto questo non fosse sufficiente si aggiunge la mancata allocazione del servizio dell’antiriciclaggio e la mancata apertura della mobilità dall’esterno per quelle sedi in carezza di personale.
Con il decreto di riallocazione degli uffici territoriali, il MEF ha chiuso il capitolo soppressione delle DTEF, i colleghi delle RTS e soprattutto l’utenza possono ben sperare, il MEF li stupirà con effetti speciali!!!

Roma, 16 marzo 2011
Il Coordinatore Generale
BORDINI Andrea G.

giovedì 17 marzo 2011

Possibilità di truffa

15 marzo 2011 (RGS): Sono pervenute segnalazioni in ordine alla circostanza che, in questi giorni, soggetti non autorizzati starebbero contattando privati cittadini qualificandosi come dipendenti o incaricati della Ragioneria generale dello Stato, al fine di raccogliere dati personali da utilizzare per l'invio di inesistenti rimborsi. Al fine di prevenire eventuali truffe o raggiri, si precisa che non è in corso alcuna campagna di rimborsi, né raccolta di informazioni, da parte della Ragioneria generale dello Stato.

mercoledì 16 marzo 2011

L'agente contabile allarga i confini


Una gestione contabile che prevede la creazione di tanti fondi con gestione contabile autonoma, per ogni singola divisione dell'ente, genera confusione e desta perplessità. Gli enti locali possono estendere le funzioni di utilizzo del denaro, dietro esplicita previsione, al più, all'ufficio Economato, per spese di ufficio di non rilevante ammontare. A bollare come cattivo il comportamento contabile della proliferazione di agenti contabili, diffuso soprattutto negli enti di maggiori dimensioni, è la sezione di controllo della Corte dei conti per la Puglia (deliberazione 6/2011).
La qualifica di agente contabile è attribuibile a tutti coloro, anche privati, che instaurano con la pubblica amministrazione un rapporto di servizio, anche meramente fattuale, nella gestione di beni pubblici o nel maneggio del denaro. Non hanno rilievo né il titolo in base al quale la gestione viene svolta (rapporto di pubblico impiego o servizio, concessione amministrativa o contratto). Di recente, la giurisprudenza ha chiarito che anche i concessionari del servizio di sosta a pagamento in aree pubbliche rivestono la qualità di agenti contabili, così come gli esattori-concessionari della riscossione dei tributi locali.

Entro 30 giorni dal termine dell'esercizio, gli agenti contabili e i sub-agenti sono tenuti alla resa del conto, utilizzando i modelli allegati al Dpr 194/1996, diversi per l'agente contabile (21), per il consegnatario di azioni (22), per l'economo (23) e per il consegnatario di beni (24).
Il servizio finanziario, con le operazioni di rendicontazione, effettua la cosiddetta "parificazione", tesa a far proprie le risultanze del conto con le scritture contabili dell'ente. Poi, entro 60 giorni dall'approvazione del rendiconto, il legale rappresentante dell'ente deve trasmettere il conto del tesoriere e degli altri agenti contabili alla sezione giurisdizionale della Corte dei conti.

Nei casi di omessa trasmissione, la Sezione giurisdizionale assegna al soggetto che era tenuto all'adempimento un termine entro cui presentare i conti. In mancanza, pesanti sanzioni e la compilazione d'ufficio a cura del comune e con spese a carico dell'agente inadempiente.

martedì 15 marzo 2011

Diffida per la diminuzione delle festività soppresse

Al MINISTERO DELL’ECONOMIA
E DELLE FINANZE
Capo Dipartimento dell’Amministrazione Generale,
del Personale e dei Servizi
dott.ssa Giuseppina Baffi
Via XX Settembre 97
00187 - ROMA

OGGETTO: festività del 17 Marzo 2011.

Con il recente decreto n. 5 del 22 Febbraio 2011 è stata istituita la festività del 17 Marzo per il solo anno 2011, al fine di celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia.
Alcuni aspetti del Decreto risultano controversi.

Abbiamo infatti rilevato un’ inesattezza di non poco conto nell’individuazione della festività del 4 Novembre come festività soppressa.

Al riguardo giova precisare che le festività soppresse indicate nella Legge 54 del 1977 sono le seguenti: Epifania (poi ripristinata), S. Giuseppe; Ascensione, Corpus Domini, SS. Apostoli Pietro e Paolo, mentre per il 2 Giugno (poi ripristinata) e per il 4 Novembre, le festività sono state spostate rispettivamente alla prima domenica del mese di Giugno e di Novembre.
Da ciò deriva che il trattamento giuridico ed economico spettante al personale non può che essere quello dovuto nelle normali giornate festive.
E’ evidente che questo aspetto, come ha sottolineato anche l’ANCI, appare contrastante con la previsione di non gravare con ulteriori oneri le amministrazioni della Stato e contemporaneamente di assicurare il trattamento dovuto nei giorni festivi al personale soggetto a turnazioni.
Ma l’aspetto più controverso è costituito dal fatto che l’inesattezza data dall'assimilare, nel decreto n. 5/2011, il 4 Novembre ad una festività soppressa, ha generato la convinzione che tale giornata debba essere sottratta ad uno dei 4 giorni previsti per le festività soppresse concesse al personale dipendente.
Così si è espresso il ministro Brunetta nel question time del 9/3/2011 alla Camera dei Deputati, e così è evidenziato nella relazione tecnica di accompagnamento del decreto legge n. 5/2011.
Come autorevolmente ha rappresentato il Consiglio di Stato - seppur nel precedente assetto pubblicistico (Cons. Stato, VI, 20.10.1986, n.802) - le giornate di festività soppressa sono qualificate non come permessi, ma piuttosto come congedo ordinario, sia pure in presenza di un differente procedimento amministrativo predisposto ai fini della loro fruizione.

Come è noto le ferie costituiscono un diritto irrinunciabile del lavoratore e sono tese a garantirne il necessario recupero psico-fisico. Inoltre la gestione delle ferie avviene attraverso una richiesta del lavoratore e la conseguente concessione o diniego (qualora ostino motivate esigenze organizzative o funzionali) da parte del datore di lavoro.
Riteniamo pertanto del tutto fuorviante tale indicazione ed illegittimo il “prelievo” forzoso di una giornata di festività soppressa dalla disponibilità personale di ciascun dipendente.
Di conseguenza diffidiamo codesta Amministrazione a dar corso a tale riduzione e a consentire la fruizione di una giornata festiva aggiuntiva per il solo anno 2011, come del resto dovrebbe essere, in occasione di una celebrazione che presenta caratteristiche di eccezionalità ed occasionalità.
Con l’occasione si segnala a codesta Amministrazione che della questione sopra delineata sono stati opportunamente investiti il Ministero per la pubblica amministrazione e l’innovazione nonché l’Aran con apposita nota della scrivente.

Roma 14.3.2011

USB PubblicoImpiego - Unione Sindacale di Base
Roma, viale Castro Pretorio 116 - Tel: 06.59640004 - usb@usb.it
p. Esecutivo Nazionale

Paola Palmieri

FLP sul 17 marzo

Ricevo da FLP Economia e Finanze e pubblico

Continuano le polemiche sul Decreto Legge che istituisce la Festa Nazionale per il 150° anno dell’Unita d’Italia e se questa festa debba essere pagata dai lavoratori attraverso la perdita di una delle quattro giornate di festività soppresse o meno, soprattutto per i dipendenti pubblici.
Il Ministro per la Pubblica Amministrazione si guarda bene dal fornire indicazioni in merito e, sul sito del ministero, rimanda alla relazione tecnica al decreto legge, che dice tutto e il contrario di tutto in quanto prima si sofferma sul fatto che non vi sarebbe perdita di giorni di lavoro poiché quest’anno cadono di domenica il 1° maggio e il Natale (quindi sembra propendere per la tesi una festività aggiuntiva), per poi concludere che però deve essere decurtata una delle quattro giornate di festività soppresse.
La stessa interpretazione è stata data dal ministro Brunetta l’altro giorno durante un "question time" alla Camera dei Deputati.

Perché questo comportamento da parte del Ministro competente (si fa per dire)???? Secondo noi per un motivo molto semplice: il ministro sa perfettamente che ciò che è scritto nella relazione tecnica non trova riscontro nella lettera del decreto legge e perciò si guarda bene dall’intervenire formalmente con un atto che potrebbe essere facilmente impugnato, mentre la risposta in un "question time" non lo è certamente (come si diceva una volta "fa fine e non impegna").

Così, il Ministro lascia che a fare il "lavoro sporco" ci pensino le amministrazioni alle quali non pare vero di poter comprimere i diritti dei lavoratori e quindi di buon grado stanno procedendo ad emanare disposizioni con le quali si cancella una delle quattro giornate di festività soppresse.

La posizione della CSE è nota e la riassumiamo:
  • il Decreto Legge fa riferimento esclusivamente alla Legge 260 del 1949, imbandieramento degli uffici et similia;
  • lo stesso decreto dice che la festa del 17 marzo sostituisce quella del 4 novembre, che non è tra le festività soppresse (Legge 54/1997) ma è stata spostata alla prima domenica di novembre;
  • la legge che regola i 4 giorni di riposo aggiuntivo (chiamati impropriamente festività soppresse) non cita né il 4 novembre né altre giornate ma solo che spettano ai lavoratori 4 giorni di riposo aggiuntivi;
  • da questo scaturiscono conseguenze per i lavoratori privati che verranno pagati in misura maggiorata se svolgono attività lavorativa il 17 marzo e non verranno pagati in maniera maggiorata per la prima domenica di novembre, per i lavoratori pubblici il decreto Legge n. 5/2011 non ha alcuna conseguenza sulle ferie né sui riposi.

Come noi la pensa un giornale autorevole e non certo dalla parte dei lavoratori (essendo di proprietà della Confindustria) ossia Il Sole 24ore che, in un articolo che alleghiamo al presente notiziario, dà la nostra stessa lettura del D.L. 5/2011.

E allora che fare, ci chiederete voi, visto che nel frattempo fioccano le circolari delle amministrazioni???? Noi abbiamo messo le carte nelle mani dei nostri legali che nei prossimi giorni ci diranno come proseguire nel modo più proficuo la nostra vertenza.
Inoltre oggi provvederemo a scrivere al Ministro Brunetta per invitarlo a prendere una posizione formale sull’argomento.
Dobbiamo però constatare che purtroppo, a parte timidissime prese di posizione, siamo l’unico sindacato che sta affrontando la materia in termini di diritti dei lavoratori.

Gli altri sindacati si sono divisi in due: quelli che, non riuscendo proprio a criticare un governo che fiancheggiano anche quando commette le peggiori nefandezze contro i dipendenti pubblici, dicono ai lavoratori "Ma cosa volete, in fondo non perdete niente, un giorno di festività soppressa lo fate il 17 marzo e amen. Siate patriottici!!!"; altri che lo usano per strumentalizzazioni politiche e dicono ai lavoratori "Avete visto, il governo vi scippa un giorno di ferie, scioperate!!".

Di affrontare una vertenza, tranne che alla CSE non interessa a nessuno. E allora ci chiediamo: possibile che si debba continuare a vivere in un paese dove nessuno svolge il proprio ruolo senza trasformare tutto in una polemica politica che assomiglia sempre meno all’incontro/scontro di idee e sempre più a un derby calcistico????

lunedì 14 marzo 2011

In regioni e comuni l'Unità «regala» un giorno di ferie

Articolo di Tiziano Grandelli e Mirco Zamberlan pubblicato su Il Sole 24 Ore 4 marzo 2011


Il 17 marzo 2011 si celebrerà l'Unità d'Italia a costo zero, perché il giorno festivo andrà ad assorbire gli effetti giuridici ed economici della festività soppressa del 4 novembre. Ma non per tutti: agli oltre 550mila dipendenti di regioni ed enti locali il 150esimo «regalerà» un giorno di ferie in più
Come mai? Il motivo sta nel fatto che la festività del 4 novembre, spostata automaticamente alla prima domenica di novembre (articolo 1 della legge 54/1977), non generava ai dipendenti degli enti locali alcun tipo di beneficio né giuridico né economico. Infatti, negli enti pubblici non esistono clausole contrattuali tipiche del privato che prevedono benefici in busta paga per le festività cadenti in giorni festivi, oppure permessi aggiuntivi per tali giornate. Poiché il decreto nulla ha disposto in merito a San Giuseppe, Ascensione, Corpus Domini e Santi Apostoli Pietro e Paolo, cioè le quattro festività soppresse previste dall'articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 937/77, in analogia a quanto avvenuto con il ripristino della festività del 2 giugno (parere Aran 795-18I3), anche in questo caso si dovrebbero continuare a usufruire dei giorni di ferie secondo le regole ordinarie senza alcuna decurtazione. In conclusione sembrerebbe difficile, all'interno delle regole contrattuali, far «pagare» ai dipendenti pubblici la festa nazionale, come al contrario avverrà, in pratica, in molti settori del privato.
Per altro verso, non c'è alcun dubbio sul fatto che i dipendenti in servizio il 17 marzo (sia perché ordinariamente in turno, sia per altri motivi di servizio) avranno diritto alle maggiorazioni previste dai contratti collettivi per il lavoro nel giorno festivo. In modo del tutto analogo le stesse maggiorazioni spetteranno ai dipendenti in servizio la prima domenica di novembre.
In altri termini, al di là della dichiarazioni di principio inevitabilmente contenuta nel decreto legge che esclude alcun onere a carico a carico della pubblica amministrazione, in pratica la festività non solo determina sostanzialmente un giorno in più di «ferie» per i dipendenti, ma fa gravare sulle risorse del fondo un giorno in più di maggiorazioni per turno o per lavoro in giorno festivo infrasettimanale.
Infine, ai dipendenti in turno, per giurisprudenza prevalente, spetta esclusivamente la maggiorazione festiva senza alcun riposo compensativo.

Lettera aperta dell'Astmap a Brunetta

Lettera aperta dell’Associazione per la Trasparenza e il Monitoraggio nelle Amministrazioni pubbliche-Astmap al ministro della Funzione pubblica, 11 marzo 2011

Signor Ministro,
questa Associazione, sin dal primo momento di elaborazione della nuova riforma, ha evidenziato, con il suo contributo culturale e professionale, la non più rinviabile esigenza di migliorare e monitorare la produttività nelle pubbliche amministrazioni, mettendo in evidenza il rischio di peggioramento del sistema gestionale nelle amministrazioni pubbliche che potrebbe derivare dal fallimento del processo della Sua riforma, aggravato dal precedente fallimento di quella Giannini/Cassese.

Al fine di evitare questo rischio ed anche per una efficace attuazione del federalismo fiscale e per evitare il ricorso permanente ai tagli orizzontali della spesa, ritiene necessaria una corretta e tempestiva attuazione di quella parte della riforma della pubblica amministrazione riguardante la
performance organizzativa, in coerenza con quanto chiaramente previsto dalla legge 15/2009 (significativi al riguardo i comma 1 e 2 dell’art. 4) e, anche se con qualche incertezza terminologica, dal D.Lgs 150/2009 (art. 1, comma 4; art. 11 e, soprattutto, art 13, comma 7).

Purtroppo, le direttive CIVIT hanno privilegiato proprio la performance individuale, determinando il moltiplicarsi di richieste e concessioni di autonomia da parte delle amministrazioni non statali, il contrasto con le OO.SS. e certamente poco consenso da parte del personale interessato. Inoltre in questo modo si è ufficialmente perso il carattere bipartisan, tanto reclamato da Lei stesso, signor Ministro.

Riteniamo che possano essere superati lo stallo attuale e le tensioni con il mondo sindacale facendo perno:
- innanzitutto sulla valutazione della performance delle strutture amministrative, piuttosto che di quella dei singoli dipendenti (che deve pur sempre avvenire, ma deve restare affidata a ciascun dirigente), con maggiore flessibilità nella adozione delle misure conseguenti di premio al merito e sanzione nei confronti dei bad performers;
- in secondo luogo, sul rilancio dell’idea della valutazione indipendente (riferita, appunto, alla performance delle strutture amministrative): ci preoccupa il fatto che nell'intesa Governo/Sindacati del 4 febbraio scorso la funzione della valutazione sia stata menzionata come funzione da affidare a organismi composti pariteticamente da rappresentanti del sindacato e del management;
- infine, sulla trasparenza della misura, monitoraggio e valutazione della performance organizzativa nel duplice aspetto della produttività, del lavoro ed economica, e della qualità dei servizi resi in termini di tempestività, adeguatezza e accuratezza.

Riteniamo anche che, ferma la necessaria valutazione del merito personale ai fini di progressione di carriera, fatta peraltro con buon senso e tenendo conto della tipicità del rapporto di pubblico impiego, la incentivazione economica del personale debba basarsi sui risultati conseguiti come gruppo nella valutazione target/attività previsti nel piano della performance organizzativa.

Le rinnoviamo la disponibilità di questa associazione a fornire la sua collaborazione, nelle forme che saranno ritenute opportune.

Distinti saluti

Il presidente
Emilio Valentini

lunedì 7 marzo 2011

venerdì 4 marzo 2011

il 17 marzo non lo pagano i dipendenti

Ricevo dal sindacato FLP e pubblico

È ormai noto a tutti che il Governo ha emanato un decreto legge (il n. 5 del 22 febbraio 2011) con il quale dichiara il prossimo 17 marzo festa nazionale solo per quest’anno, ricorrendo il 150° anniversario dell’unita d’Italia.
Probabilmente, le polemiche della Lega e le richieste di Confindustria a non perdere giornate di lavoro, hanno spinto alcune amministrazioni pubbliche – e purtroppo alcuni sindacati – a ritenere che, visto che nel DL si parla di giornata festiva in sostituzione di quella del 4 novembre, quest’anno le cosiddette festività soppresse fruibili dai lavoratori scendessero da 4 a 3; a nostro parere non è così e lo diciamo dopo un’attenta lettura delle norme che si sono succedute in materia e che riassumiamo.
Il Decreto Legge recita, all’articolo 1, comma 1: "Limitatamente all’anno 2011, il giorno 17 marzo è considerato giorno festivo ai sensi degli articoli 2 e 4 della legge 27 maggio 1949, n. 260", e allo stesso articolo, al comma successivo: "Al fine di evitare nuovi e maggiori oneri a carico della finanza pubblica e delle imprese private, per il solo anno 2011 gli effetti economici e gli istituti giuridici e contrattuali previsti per la festività soppressa del 4 novembre non si applicano a tale ricorrenza….".

Ma cosa dice la Legge 260 del 1949???
Nulla, a parte l’ordine di esporre le bandiere negli uffici pubblici (articolo 4). Ma la stessa legge, all’articolo 5, recita: "Nelle ricorrenze della festa nazionale (2 giugno), dell'anniversario della liberazione (25 aprile), della festa del lavoro (1 maggio) e nel giorno della unita nazionale (4 novembre) lo Stato, gli Enti pubblici e i privati datori di lavoro sono tenuti a corrispondere ai lavoratori da essi dipendenti, i quali siano retribuiti non in misura fissa, ma in relazione alle ore di lavoro da essi compiute, la normale retribuzione globale di fatto giornaliera, compreso ogni elemento accessorio. La normale retribuzione sopraindicata sarà determinata ragguagliandola a quella corrispondente ad 1/6 dell'orario settimanale contrattuale, o, in mancanza, a quello di legge. Per i lavoratori retribuiti a cottimo, a provvigione o con altre forme di compensi mobili, si calcolerà il valore delle quote mobili sulla media oraria delle ultime 4 settimane", e ancora: "Ai lavoratori considerati nel precedente comma, che prestino la loro opera nelle suindicate festività, e dovuta, oltre la normale retribuzione globale di fatto giornaliera, compreso ogni elemento accessorio, la retribuzione per le ore di lavoro effettivamente prestate, con la maggiorazione per il lavoro festivo. Ai salariati retribuiti in misura fissa, che prestino la loro opera nelle suindicate festività, è dovuta, oltre alla normale retribuzione globale di fatto giornaliera, compreso ogni elemento accessorio, la retribuzione per le ore effettivamente prestate, con la maggiorazione per il lavoro festivo. Qualora la festività ricorra nel giorno di domenica, spetterà ai lavoratori stessi, oltre la normale retribuzione globale di fatto giornaliera, compreso ogni elemento accessorio, anche una ulteriore retribuzione corrispondente all'aliquota giornaliera". Successivamente, la Legge n. 54 del 1977, ha abrogato la festività del 4 novembre prescrivendo (articolo 1) che la festa della Unità Nazionale ha luogo nella prima domenica di novembre.

La legge 937 dello stesso anno ha poi fissato due giornate di congedo ordinario più 4 riposi senza dire alcunché su quali giornate di festività andavano a sostituire, anche perché negli anni sono stati modificati numerose volte i giorni che sono da considerarsi festivi.

I nostri contratti, nell’assegnare i due giorni di ferie aggiuntive e i 4 giorni di festività soppresse fanno riferimento solo e unicamente alla Legge 937/1977 e non la legge 260/1949.

Quindi, l’unica differenza a nostro parere,è che quest’anno chi lavorerà la prima domenica di novembre non avrà diritto al trattamento aggiuntivo previsto dall’articolo 5 della Legge 260/1949 mentre né avrà diritto chi lavorerà il 17 marzo.

È chiaro che il Decreto Legge è stato scritto in maniera volutamente "sgrammaticata" dal punto di vista del diritto, cercando di accontentare la Lega e la Confindustria ma è altrettanto chiaro (e sfidiamo chiunque a dimostrare il contrario) che le nostre cosiddette festività soppresse sono godute ai sensi dei contratti collettivi e della Legge 937/1977 la quale, ribadiamo, non contiene nessun riferimento né al 4 novembre né ad altre festività da sostituire.

Ormai ci siamo abituati alle "furbate" tentate dal governo in carica ma stavolta, vuoi per ignoranza nello scrivere il decreto legge vuoi per altre ragioni, dal combinato disposto delle varie norme è chiaro che la festa nazionale del 17 marzo non è a carico dei lavoratori.
Sarebbe stata, oltretutto, l’ennesima incursione legislativa nei contratti collettivi del governo Berlusconi che non potremmo tollerare. Ciò che risulta strano è che più di un sindacato si sia affrettato ad avallare l’interpretazione sfavorevole ai lavoratori. Ma ormai anche a questo siamo abituati. A molti sindacati i contratti nazionali non interessano più e sui diritti continuano ad arretrare ogni giorno che passa.
La FLP si riserva di impugnare in tutte le sedi i provvedimenti delle Amministrazioni che adotteranno questa interpretazione penalizzante per i lavoratori.

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Che dire? Non so se piangere o ridere.

Lavori pubblici, la giunta non salva il dirigente


Matura responsabilità contabile a carico del responsabile dei lavori pubblici che non rispetta nelle procedure di aggiudicazione il principio della tutela della concorrenza. In tal caso egli arreca un duplice danno: priva l'ente dei risparmi che possono derivare dal rispetto di tale principio e arreca un nocumento ai privati. E non costituisce esimente dal maturare della responsabilità né ragione di riduzione il fatto che abbia seguito direttive impartite dalla giunta. Questi i principi affermati dalla sentenza n. 23 del 20 gennaio 2011 della sezione giurisdizionale dell'Abruzzo della Corte dei conti.
La sentenza evidenzia subito che «i valori dell'economicità, dell'efficacia e dell'efficienza dell'attività amministrativa rappresentano ormai i profili di maggior rilievo della legalità sostanziale del sistema giuscontabile e, in relazione ad essi, non è più consentito omettere un minimo di confronto concorrenziale per qualsiasi procedura contrattuale ad oggetto pubblico». E ancora, «simile confronto è ancor più necessario oggi che i basilari principi in materia di concorrenza e libera prestazione dei servizi, di cui agli articoli 81 e seguenti e 49 e seguenti del Trattato Ce, si impongono al rispetto degli Stati membri, indipendentemente dall'ammontare delle commesse pubbliche».

Circa il danno provocato all'ente, secondo la sentenza «è di tutta evidenza che l'asserita violazione della concorrenza provoca maggiori oneri per l'amministrazione, in quanto, ad esempio determina ribassi di gara inferiori a quelli conseguibili». Nel caso specifico, ciò si è concretizzato nella limitata partecipazione di imprese alle procedure di aggiudicazione, a seguito dei tempi estremamente ristretti (poco più di una giornata) in pratica previsti per la presentazione delle offerte. Peraltro, nello stesso ente questa aggiudicazione segue di pochi giorni a una gara analoga, in cui la percentuale di ribasso è stata enormemente superiore a quella registrata in questa procedura.
La quantificazione concreta del danno è stata effettuata «in via esclusivamente equitativa, tenendo conto del valore del contratto e dei criteri elaborati dalla giurisprudenza amministrativa in materia di risarcimento del danno per equivalente nel caso in cui non sia possibile la reintegrazione in forma specifica della pretesa dell'impresa ricorrente vittoriosa, a cui viene in genere riconosciuto un importo variabile tra il 5 e il 10% del valore del contratto originario».La condotta del dirigente è stata gravemente colposa: egli «aveva la responsabilità precipua delle gare e degli appalti per il suo settore e doveva essere particolarmente avveduto sia nell'individuazione della tipologia di gara da adottare, sia delle ditte che dovevano partecipare», mentre invece la stessa è stata caratterizzata da «superficialità e negligenza non ridotta dall'attività concorrente della giunta comunale, non competente a emanare indirizzi vincolanti nei confronti del dirigente tecnico del settore». Inoltre, la sentenza sottolinea come egli sia ricorso alla trattativa privata in luogo della asta pubblica e abbia frazionato illegittimamente l'importo dei lavori.

giovedì 3 marzo 2011

Invito alla lettura

Ricevo da una lettrice e pubblico
Oggi pomeriggio ho partecipato alla straordinaria iniziativa promossa dal DAG "Invito alla lettura".
Oggi (2 marzo) ci ha deliziato, con la presentazione del suo libro "I traditori", Giancarlo De Cataldo.
Lodevole iniziativa che, al suo secondo incontro, dimostra sia molto apprezzata dal personale MEF. La sala, a dir il vero piccina, è sempre piena con persone addirittura in piedi.
Il giudice De Cataldo ha intrattenuto il suo pubblico in modo eccellente non solo parlando della sua ultima fatica ma anche facendo una panoramica appassionante dei fatti del Risorgimento (periodo in cui è ambientato il romanzo).
Un dubbio però mi assale... all'entrata della biblioteca storica del Ministero dell'Economia e delle Finanze (che peraltro dal 16 marzo rimarrà aperta al pubblico, anche di notte, mettendo in mostra documenti originali inerenti l'Unità d'Italia) una avvenente signorina, facente parte del personale della libreria MEL in via Nazionale, vendeva i testi del libro protagonista dell'evento. Senza scontrino, senza fattura. Mi è sembrata una stonatura. E' lecito tutto ciò?
Ciaooo!

La riforma è incagliata? Brunetta risponde

Articolo pubblicato sul blog di Pietro Ichino


Interrogazione presentata al ministro per la Funzione pubblica il 25 gennaio 2011 - Seguono la risposta del Ministro stesso, datata 17 febbraio 2011, e un mio commento in proposito

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA n. 4-04423
dei senatori Pietro Ichino, Nicola Latorre, Enzo Bianco, Stefano Ceccanti, Guido Galperti, Enrico Morando, Magda Negri, Paolo Nerozzi, Achille Passoni, Giorgio Tonini e Luigi Vimercati al ministro per la Funzione pubblica

Premesso che:
con lettera aperta inviata al ministro della Funzione pubblica il 14 gennaio 2011, parzialmente pubblicata sul quotidiano la Repubblica il giorno successivo, il professor Pietro Micheli ha comunicato le proprie dimissioni da componente della Commissione indipendente per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche (CiVIT); in tale lettera sono indicate criticità e fattori di blocco che impediscono alla Commissione di perseguire la missione istituzionale per la quale essa è stata istituita, sia in ragione delle lacune nella conduzione dello stesso organismo, sia per ragioni di contesto riconducibili a scelte compiute dal Governo. In particolare nella lettera sono evidenziati come fattori cruciali:
il peso eccessivo dato alla valutazione individuale rispetto alla valutazione della performance delle strutture amministrative;
  • la rigidità del ranking nelle valutazioni individuali (il 25-50-25) che sta determinando la fuga dei dicasteri più importanti dal campo di applicazione del d.lgs. n. 150/2009 (Presidenza del Consiglio dei ministri, ministero dell’Economia);
  • l’assenza di fondi per i meritevoli;
  • i limiti dei poteri della Commissione e le ingerenze del Governo nelle scelte puntuali connesse alla sua azione, che ne determinano un difetto grave di indipendenza;
si chiede
- come intenda il Ministro Brunetta porre rimedio al paradosso di una riforma progettata sul principio cardine della valutazione e tuttavia bloccata proprio per questo aspetto nei suoi possibili effetti, a seguito delle misure riguardanti il personale delle pubbliche amministrazioni contenute nel decreto-legge n. 78/2010;
- se il Ministro non intenda intervenire sulla disciplina del decreto legislativo n. 150/2009 per promuovere migliori forme di valutazione delle strutture amministrative o di unità organizzative complesse di singole amministrazioni, basate sulla misurazione della rispettiva performance, in modo da superare, per queste ultime, il vincolo rigido nell’attribuzione delle valutazioni individuali (il 25-50-25);
- se non intenda il Governo sostituire la logica dei tagli lineari alle amministrazioni con un più maturo sistema basato sulla misurazione della performance delle amministrazioni, per evitare di ridurre gli stanziamenti a quelle più efficienti, alla stregua di quanto si propone nel disegno di federalismo fiscale nei confronti delle amministrazioni territoriali, e che tuttavia non si è ancora applicato in quelle centrali;
- per quali ragioni la Presidenza del Consiglio dei ministri e recentemente anche il ministero dell’Economia e delle Finanze non debbano sottoporsi al medesimo regime di trasparenza e valutazione delle altre amministrazioni centrali;
- se il ministro non ritenga che la suddetta esclusione leda gravemente la credibilità del sistema e incentivi altre amministrazioni a sottrarsi dal modello di valutazione proposto, con il paradosso che mentre la normativa previgente (il d.lgs 286/1999) si applicava indistintamente a ciascuna amministrazione, la più recente riforma si ferma davanti alle amministrazioni più rilevanti;
- come intenda il ministro assicurare che non si ripetano le gravi disfunzioni denunciate nella lettera del professor Pietro Micheli.

RISPOSTA DEL MINISTRO RENATO BRUNETTA

UN MIO COMMENTO
Nell’interrogazione presentata il 25 gennaio scorso, prendendo spunto dalle dimissioni del prof. Pietro Micheli dalla Civit, chiedevo al ministro la sua opinione e il suo programma d’azione per un rilancio della sua riforma delle amministrazioni e in particolare su tre punti critici:
- come superare le gravi difficoltà che le amministrazioni stanno incontrando nell’attuazione della valutazione individuale e nell’applicazione conseguente del sistema di variazione della retribuzione seconodo il rigido schema 25-50-25 stabilito nel d.lgs. n. 150/2009,
- come superare la prassi dei “tagi lineari” imposti dal ministro dell’Economia, che sono il contrario del governo selettivo della spesa, fondato sulla valutazione,
- perché mai la riforma non debba applicarsi anche alla Presidenza del Consiglio e al Ministero dell’Economia.
Sul secondo e sul terzo punto il ministro non risponde. Sul primo punto, invece, la risposta c’è ed è molto incisiva: occorre - dice il ministro - “non pregiudicare le attuali retribuzioni dei dipendenti pubblici”; per questo è stata stipulata l’Intesa del 4 febbraio, che garantisce a tutti l’intangibilità del salario accessorio percepito nel 2010. Ora, secondo la riforma Brunetta, proprio questa avrebbe dovuto essere la voce retributiva variabile in rapporto alla valutazione individuale secondo lo schema rigido per cui il 25 per cento dei dipendenti non la percepisce, il 50 per cento mediano la percepisce in misura intera e il 25 per cento migliore la percepisce in misura doppia. Affermare che, al contrario, il salario accessorio deve rimanere congelato nella misura (uguale per tutti) corrisposta nel 2010 equivale a disattivare l’ingranaggio principale della riforma.
Ora, fin dalla discussione in prima lettura della legge-delega noi avevamo avvertito il ministro del fatto che quel meccanismo del 25-50-25, così come era stabilito nel suo disegno di legge, era troppo rigido; e avevamo suggerito di concentrarsi, almeno nella fase di avvio della riforma, sulla valutazione della performance di ciascuna amministrazione, applicando semmai il meccanismo del 25-50-25 alle amministrazioni o agli uffici, piuttosto che ai singoli dipendenti. Allora nel ministro l’entusiasmo giacobino per la lotta al fannullone fece premio sul realismo (e sull’impegno ad attivare gli incentivi giusti per la riappropriazione delle prerogative dirigenziali da parte del management pubblico); cosicché non venimmo ascoltati. Non ci saremmo mai attesi, però, che dopo un anno soltanto di applicazione della riforma il ministro gettasse la spugna a questo modo, teorizzando il principio per cui il salario accessorio deve continuare a essere distribuito in misura uguale a tutti; e così svuotando uno dei pilastri della sua stessa riforma.

mercoledì 2 marzo 2011

Controllo preventivo di legittimità: in tema insegnanti e di incarichi di consulenza

Dalla newsletter della Corte dei Conti

La Sezione centrale controllo di legittimità, con delibera n. 3/2011 si è espressa sulla disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado.
“Nelle disposizioni che incidono sull’ordinamento universitario del D.M. 10 settembre 2010 - con il quale il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha provveduto a definire la disciplina dei requisisti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado, ai sensi dell’art. 2, comma 416, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 - non è rinvenibile un eccesso di delega, in quanto la fonte normativa legittimante ha demandato al MIUR il compito di delineare una disciplina transitoria, nella prospettiva della riattivazione delle ordinarie procedure di assunzione dei docenti e di riduzione delle cause che hanno determinato la formazione del precariato nella scuola”. – recita la massima – “Con la conseguenza che la ridefinizione della disciplina concernente i requisiti e le modalità della formazione iniziale del personale docente non può non investire l’assetto ordinamentale preesistente, adeguandolo alle esigenze proprie della formazione universitaria e professionale dei docenti. L’art.5 del D.M. 10 settembre 2010 del Ministro dell’istruzione, dell'università e della ricerca, che prevede l’adozione del decreto ministeriale quale strumento per la definizione annuale della programmazione degli accessi ai percorsi formativi, non è in contrasto con l’art. 39 della L. n. 449/1997, il quale richiede, invece, l’adozione di un DPCM per la programmazione degli accessi ai nuovi percorsi formativi, perchè i due provvedimenti operano su piani diversi: il primo riguarda la programmazione del fabbisogno di personale docente nelle scuole statali, mentre il secondo la programmazione degli accessi ai nuovi percorsi formativi che verranno attivati dagli Atenei”. “La deregolamentazione contenuta al 2° comma dell’art. 8 del D.M. 10 settembre 2010 del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca è illegittima” – osserva il Collegio - in quanto con l’atto esaminato “vengono disciplinati i requisiti e le modalità della formazione iniziale degli insegnanti di ogni ordine e grado: per cui è indispensabile prevedere la natura regolamentare dei decreti ministeriali che saranno successivamente emessi in ottemperanza al predetto comma. Le medesime considerazioni valgono per quanto disposto dall’art. 15, commi 2, 22 e 24 del decreto medesimo, che vanno espunti dal testo”.

Con delibera n. 4/2011, la Sezione è, quindi, tornata a deliberare in tema di affidamento di incarichi di consulenza a soggetti estranei all'amministrazione (nella fattispecie, l’Autorità portuale di Palermo). Così, la massima della deliberazione, integralmente disponibile sul portale istituzionale: “Le Autorità portuali hanno natura giuridica di ente pubblico non economico, con la conseguente riconducibilità delle stesse nell’ambito soggettivo delle “Amministrazioni pubbliche” ex art.1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001.
La disposizione di cui all’art. 7, comma 6, del D.Lgs. n. 165/2001 si pone con carattere di generalità per tutte le amministrazioni pubbliche, costituendo un ampio genus posto dal legislatore, al quale sono riconducibili tutte le ipotesi normative specifiche dei vari settori della P.A. Ai fini dell’attribuzione degli incarichi di consulenza è necessario che l’Amministrazione conferente si sia dotata degli appositi strumenti procedurali previsti dall’art. 7, comma 6- bis del D.Lgs. n. 165/2001, con la conseguenza che la mancata adozione di tali strumenti costituisce motivo di illegittimità.
Inoltre, il conferimento di un incarico di consulenza a soggetti esterni all’apparato amministrativo può ritenersi legittimo ove si renda necessario per affrontare problematiche di particolare complessità o urgenza che non possano essere adeguatamente o tempestivamente risolte avvalendosi delle professionalità interne dell’Ente”.

martedì 1 marzo 2011

Una norma ad personam nel milleproroghe


A NUOVA DISPOSIZIONE CONSENTE AI MEMBRI DELLA CIVIT CHE SONO ANCHE DIPENDENTI PUBBLICI DI RESTARE IN RUOLO E SVOLGERE CONTEMPORANEAMENTE LE DUE FUNZIONI

Comma 12-decies inserito dalla legge di conversione nell’articolo 2 del decreto-legge 29 dicembre 2010 n. 225
“Al fine di garantire, senza pregiudizio per le amministrazioni di provenienza, la prosecuzione della attività di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, al comma 3, ultimo periodo, del medesimo articolo 13, dopo le parole: “sono collocati fuori ruolo” sono inserite le seguenti: “, se ne fanno richiesta.” La facoltà di essere collocati fuori ruolo, su richiesta, prevista dall’articolo 13, comma 3, ultimo periodo, del citato decreto legislativo n. 150 del 2009, come modificato ai sensi del presente comma, si applica anche ai componenti in carica alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto che continuano a operare fino al termine del mandato.”

TRADUZIONE IN ITALIANO
Le “attività di cui all’articolo 13 del d.lgs. n. 150/2009″ sono le funzioni della Civit, cioè della Commissione per la Valutazione, l’Integrità e la Trasparenza, istituita dalla legge Brunetta come chiave di volta del nuovo sistema della valutazione indipendente delle amministrazioni pubbliche. L’idea originaria, che si esprimeva nella formulazione dell’articolo 13 in vigore fino a ieri, era che i cinque membri si dedicassero al lavoro della Commissione a tempo pieno: per questo la norma disponeva che, “se dipendenti della pubblica amministrazione o magistrati in attività di servizio”, essi venissero “collocati fuori ruolo” o “in aspettativa senza assegni” automaticamente. Ora, invece, il Governo ha ritenuto opportuno consentire che i membri della Civit dipendenti da amministrazioni pubbliche possano optare per rimanere in ruolo, riducendo evidentemente il proprio impegno per la Civit a un tempo parziale.
Questa innovazione interessa oggi soltanto a uno dei membri attuali della Commissione, il dott. Filippo Patroni Griffi (perché il presidente Antonio Martone, già magistrato di Cassazione, è ora pensionato; mentre Luciano Hinna e Luisa Torchia, professori universitari, erano e restano nella posizione del docente in aspettativa senza assegni). Ma domani potrebbe interessarne anche altri. E questo per un verso intacca notevolmente la regola originaria, che prescriveva l’impegno a tempo pieno per tutti i commissari, per altro verso non corrisponde a equità, dal momento che al minore impegno nella funzione propria della Civit non corrisponde una riduzione del relativo compenso.