giovedì 14 giugno 2018

Per il Consiglio di Stato è possibile derogare ai contratti Consip

articolo di Sergio Patti pubblicato su La Notizia Giornale.
A che serve una Centrale unica per gli acquisti della pubblica amministrazione se poi le condizioni che riesce a strappare sono inadeguate e non convenienti, tanto da costringere gli uffici dello Stato a farsi le gare per conto proprio? La domanda resta senza risposta dopo che il Consiglio di Stato ha intimato un grande stop alla struttura elefantiaca nata per abbassare i costi delle forniture di beni e servizi a spese dei cittadini. Con la sentenza n. 1937/18 il massimo organo della giustizia amministrativa ha dato infatti ragione al ministero dei Beni culturali all’epoca guidato da Dario Franceschini.
Casus belli – Gli uffici di via del Collegio Romano avevano deciso di non utilizzare la convenzione stipulata tra Consip e una società – la Exitone Spa – per la gestione della salute e sicurezza dei dipendenti nei luoghi di lavoro. Exitone aveva vinto per questo una regolare gara, arrivando prima in tre lotti dal valore di decine di milioni di euro. Ciò nonostante il Mibact aveva puntato ad ottenere gli stessi servizi a condizioni migliori, anche sotto l’aspetto dei costi, e per questo aveva indetto una propria procedura concorsuale escludendo l’obbligo di adeguarsi alla convenzione Consip. Mossa illegittima secondo il ricorrente, ma non per la quinta sezione del Consiglio di Stato, che in sede giurisdizionale ha fatto rilevare come le norme prevedano espressamente (art. 26 della legge 488 del 1999) la possibilità per le amministrazioni statali centrali e periferiche di attivare propri strumenti di negoziazione laddove tale opzione sia orientata a conseguire condizioni economiche più favorevoli rispetto a quelle fissate dall’esito della convenzione quadro della Consip. Nonostante la legge spinga tutti gli uffici pubblici ad adeguarsi alle gare della centrale unica per gli acqusiti, tale vincolo è da considerarsi nullo quando “il contratto sia stato stipulato a un prezzo più basso di quello derivante dal rispetto dei parametri di qualità e di prezzo degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip, e a condizione che tra l’amministrazione interessata e l’impresa non siano insorte contestazioni sulla esecuzione di eventuali contratti stipulati in precedenza”.
Enti responsabili – Ma c’è di più: esaminando il caso, il Consiglio di Stato ha finito per richiamare un ulteriore principio, e cioè quanto prescritto dall’articolo 1 del decreto legge 95 del 2012, che responsabilizza le amministrazioni a risparmiare quanto più possono, e pertanto possono derogare dagli obblighi di carattere generale, ovviamente a condizione di poter però dimostrare che tale scelta ha portato un risparmio per le casse pubbliche. Fattispecie dimostrata nella gara finita sotto la lente della giustizia amministrativa, in quanto il costo dei servizi richiesti dal Mibac utilizzando la convenzione Consip sarebbe stata di 19,52 milioni di euro, mentre facendo la propria gara ci si è fermati a 14,33 milioni. Soldi dei cittadini che così lo Stato ha potuto risparmiare.

venerdì 8 giugno 2018

I diari delle prove preselettive dei concorsi MEF saranno pubblicati il 27 luglio

Sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale del 5 giugno scorso gli avvisi di rinvio della pubblicazione dei diari e del luogo di svolgimento delle prove preselettive dei bandi di concorso finalizzati all’assunzione al Ministero dell’Economia e delle Finanze di complessive 400 unità di personale (con laurea).
I diari delle prove preselettive e il luogo di svolgimento saranno comunicati ai candidati con la pubblicazione il 27 luglio 2018 di un apposito avviso nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana - 4a Serie Speciale - Concorsi ed Esami.

Le 400 assunzioni, che andranno a coprire il fabbisogno di specifiche professionalità, sono così ripartite:
80 unità con orientamento statistico ed economico quantitativo;
90 unità con orientamento economico aziendale e contabile;
60 unità con orientamento economico-finanziario;
50 unità con orientamento giuridico-finanziario;
40 unità con orientamento giuridico-tributario;
80 unità con orientamento giuridico nell'ambito dei servizi amministrativi trasversali.

Sono pervenute complessivamente 95.174 domande di partecipazione al concorso. Per i singoli bandi sono pervenute dalle 11.000 alle 26.000 domande.

giovedì 7 giugno 2018

Una poltrona che vale un Tesoro

Articolo di Stefano Sansonetti pubblicato su La Notizia


Ormai è chiaro. Una delle partite di potere più delicate, in questo momento di nouvelle vague giallo-verde, riguarda la scelta del nuovo Direttore generale del tesoro. L’incarico è a dir poco strategico, visto che chi sarà chiamato a ricoprirlo dovrà accompagnare il ministro dell’economia a quasi tutti i principali appuntamenti internazionali. E qui sta un primo punto.

Il titolare di via XX Settembre, Giovanni Tria, non sembra essere un ministro “fortissimo”. Del resto il suo nome è uscito fuori all’esito di un faticoso compromesso, considerando che la prima scelta leghista, appoggiata dai pentastellati, sarebbe ricaduta su Paolo Savona, poi dirottato agli Affari europei.

Attenzione alta – Così si spiega perché in queste ore si sta mettendo a fuoco l’importanza della partita: con un ministro di compromesso, le leve di potere azionabili dal Direttore generale del tesoro possono essere molto incisive. La Notizia del 15 maggio scorso aveva già rivelato che i grillini vorrebbero spingere verso questa poltrona Antonio Guglielmi, banchiere “eretico” di Mediobanca, con alcune idee eurocritiche che piacciono anche ad economisti di area Lega come Claudio Borghi e Alberto Bagnai.
Ma il posto fa parecchia gola anche i cosiddetti “poteri forti”. Per questo, dopo che il nome di Guglielmi è entrato nel circuito mediatico, si va facendo largo una sorta di reazione.

A muoversi è il presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti, rappresentante di quelle fondazioni che detengono anche il 16% della Cassa Depositi e Prestiti. Guzzetti, 83 anni, da oggi è a Parma per il suo ultimo congresso dell’associazione. L’anno prossimo lascerà, non senza aver fatto il tentativo di lasciare una situazione congeniale al suo mondo. In tal senso sembrerebbe voler spingere per la promozione alla Direzione generale del Tesoro di Alessandro Rivera, alto funzionario di via XX settembre che oggi guida la Direzione sistema bancario, proprio quella che tra l’altro vigila sul sistema delle Fondazioni. Intendiamoci, le medesime Fondazioni hanno il diritto di indicare il presidente della Cassa Depositi e Prestiti (anche in questo caso sin dal 5 aprile scorso La Notizia ha rivelato che le preferenze ricadono su Massimo Tononi, ex sottosegretario all’Economia con Prodi ed ex Goldman Sachs). Sulla carta altro non possono fare. Tanto meno possono mettere bocca sulla scelta dell’azionista Tesoro, il cui direttore generale però siede nel Cda della Cassa. Ecco spiegato il grande interesse di Guzzetti, e dei suoi due principali collaboratori, Matteo Melley (presidente della Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia) e Francesco Profumo (presidente della Compagnia Sanpaolo), per la scelta del Direttore generale del Tesoro.

Il contesto – è un segno dei vecchi poteri che non vogliono mollare, verosimilmente intimoriti dalla nuova era giallo-verde. Ma la poltrona in questione è monitorata con grande attenzione anche dal presidente della Bce, Mario Draghi. Il quale, non per niente, negli ultimi sei anni l’ha presidiata attraverso un suo fedelissimo, Vincenzo La Via. Insomma, nella scelta del nuovo Direttore generale di via XX Settembre i pentaleghisti dovranno vedersela con le istanze delle fondazioni e quelle provenienti da Francoforte. Quanto a Guzzetti, l’eredità che vorrebbe lasciare prevederebbe anche Dario Scannapieco (altro Draghi boy) come Ad della Cassa e Fabrizio Palermo come Direttore generale della medesima. Ma queste scelte spettano al Governo, ora non più così facilmente influenzabile.

mercoledì 6 giugno 2018

Assunzioni nel pubblico impiego, arriva la riforma dei concorsi



Articolo di Arturo Bianco pubblicato il 30 aprile 2018 su Il Sole 24 ore


Obbligo per le amministrazioni statali e invito a quelle regionali e locali a concorsi unici, ad aderire al portale nazionale e a formare albi dei componenti delle commissioni tra cui scegliere con sorteggio.
Sono queste le scelte di maggiore rilievo contenute nelle Linee Guida sui concorsi che sono state predisposte dal ministro per la Semplificazione e la Pubblica amministrazione e che, avendo ottenuto il parere positivo della Conferenza Unificata, stanno per essere emanate dopo l’ultimo passaggio in Corte dei conti.

Occorre ricordare che non è definito se e quanto questo documento sia vincolante per le amministrazioni non statali.
In ogni caso, tutte le Pubbliche amministrazioni devono adeguare i propri regolamenti, soprattutto per gli aspetti principali.
In primo luogo, va rilevata la necessità di trovare un punto di incontro ragionevole tra i requisiti, la preferenza per procedure semplici anche automatizzate e la procedura concorsuale (esami, titoli, titoli ed esami, corso concorso o selezione per l'accertamento della professionalità richiesta).


Concorsi unici indetti dalla Funzione pubblica
Il documento impone alle amministrazioni statali e suggerisce a quelle non statali (quindi a regioni, enti locali e sanità) il ricorso, soprattutto per la dirigenza e per i profili comuni, a concorsi unici indetti dalla Funzione pubblica, che si avvale al riguardo della Commissione Ripam e dell'associazione Formez Pa.
Alle amministrazioni regionali e locali viene inoltre suggerito di dare corso a esperienze di gestione associata delle procedure concorsuali, per evitare la “polverizzazione” del reclutamento. Allo stesso scopo risponde un’altra indicazione presente nelle istruzioni, vale a dire lo stimolo a realizzare procedure unificate per parti comuni delle procedure concorsuali, a partire dalle preselezioni. Viene dettato il vincolo per le amministrazioni statali, che si trasforma in un suggerimento per gli altri enti, di aderire al portale nazionale del reclutamento, che dovrà contenere le informazioni sia sui concorsi che vengono indetti sia su quelli già espletati. Nell’individuazione dei requisiti che i candidati devono possedere, viene suggerito di tener conto sia del collegamento con la professionalità sia della platea dei soggetti che ne sono in possesso, così da evitare di ridurre eccessivamente il numero dei partecipanti.


Requisiti più stretti sui titoli
Gli enti possono prevedere per le figure apicali anche non dirigenti, il possesso del requisito del dottorato di ricerca, oltre alla sua valorizzazione in termini di punteggio. Nella scelta dei titoli, da bilanciare tra quelli di servizio (che privilegiano chi è già un dipendente pubblico) e gli altri, si devono il più possibile evitare discriminazioni nei confronti dei più giovani e dei candidati esterni.Le prove concorsuali, siano esse scritte, orali o pratiche, si devono caratterizzare soprattutto per l'accertamento della capacità di mettere in pratica le conoscenze possedute e, in questo modo, di risolvere i problemi aperti, evitando quindi gli eccessi di nozionismo. Già nelle eventuali preselezioni, la riduzione della platea dei candidati deve essere perseguita privilegiando soprattutto il merito, le competenze professionali e le capacità operative.
La Funzione pubblica per i concorsi unici per le amministrazioni statali attiverà un albo dei commissari tra cui scegliere sulla base di sorteggi: lo stesso metodo viene suggerito a tutte le Pubbliche amministrazioni, ferma restando la necessità di dare applicazione ai vincoli dettati dalla normativa anticorruzione e di rispettare i tetti di spesa previsti per ogni comparto.

martedì 5 giugno 2018

In G.U. il decreto delle nomine del Governo

Pubblicati in Gazzetta ufficiale i decreti del presidente della Repubblica per la nomina dei nuovi membri del Governo. In particolare, sono stati pubblicati i decreti per l’attribuzione delle funzioni di vicepresidente del Consiglio al ministro dell'Interno, Matteo Salvini, e al ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro, Luigi Di Maio. Pubblicato anche il decreto di nomina di Giancarlo Giorgetti a sottosegretario a Palazzo Chigi. Infine in Gazzetta anche i conferimenti degli incarichi ai ministri senza portafoglio: Riccardo Fraccaro, Rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta; Giulia Bongiorno, Pubblica amministrazione; Erika Stefani, Affari regionali e autonomie; Barbara Lezzi, Sud; Lorenzo Fontana, Famiglia e disabilità; Paolo Savona, Affari europei.

Grandi manovre all'Agenzia dell'entrate

Stralcio dell'articolo di Giacomo Amadori per “la Verità” pubblicato su Dagospia


Grandi manovre si sono registrate anche in altre riserve di caccia della vecchia nomenclatura di centrosinistra.
Per esempio all' Agenzia delle entrate, guidata da Ernesto Maria Ruffini, il «tecnico» che ha calpestato il palcoscenico della Leopolda renziana a partire dalla sua prima edizione.
L'ultimo arrivato nel suo regno è il capo ufficio stampa Salvatore Padula. Dopo le elezioni del 4 marzo, Ruffini aveva chiamato nella sua squadra il direttore degli Affari legali Laura Salvati e il direttore della divisione Servizi Valerio Barbantini, dirigenti che resteranno sul groppone del suo successore. Padula, assunto con un contratto da esterno per tre anni a partire da maggio, è andato ad affiancare il portavoce di Ruffini, Giovanni Bartoloni (un altro esterno, che vanta anche un incarico come assistente del parlamentare europeo Enrico Gasbarra del Pd) e l' ex capo ufficio stampa Sergio Mazzei, passato al sito Web e ai social media. Prima dell' arrivo di Bartoloni e Padula, Mazzei faceva da solo quello che ora fanno in tre, il che si traduce per noi cittadini in due stipendi in più sopra i 100 mila euro da pagare ai due esterni Padula e Bartoloni

lunedì 4 giugno 2018

Il calciomercato dei grand commis

Come accade ad ogni cambio di governo, in queste ore a Roma si sta combattendo una battaglia di potere senza quartiere intorno alla scelta dei capi di gabinetto dei ministeri.

Li chiamano grand commis, mandarini, uomini-ombra ma come nel calcio mercato vengono "capati" ogni volta con frenetiche trattative dai ministri, ancora frastornati dalla nomina talvolta inaspettata, soprattutto fra magistrati amministrativi, consiglieri di Stato e consiglieri parlamentari. I protagonisti della selezione, feroce e al tempo stesso dilettantesca, raccontano di primi incontri già al ricevimento al Quirinale dopo il giuramento dei ministri. E poi di incontri riservati, telefonate e cene lontane da occhi indiscreti.

Alla fine emergeranno dalla zuffa figure professionali - peraltro quasi tutte già sperimentate nei governi precedenti - che risulteranno decisive per il buon lavoro di un ministero. Uomini che faranno marciare le decisioni politiche perché conoscono gli infiniti meandri della legislazione italiana e molte maniglie delle porte giuste. Professionisti abituati a gestire con sapienza molto potere, staff qualificati e irrequieti, spesso grandi quantità di denaro e al tempo stesso capaci di offrire soluzioni ai desideri spesso astrusi dei loro ministri. Da questo punto di vista la nascita del governo Conte è già segnata da alcune differenze rispetto a quella del governo Renzi che fatalmente sarà il benchmark del nuovo esecutivo. L'allora segretario del Pd planò su Palazzo Chigi alla velocità della luce e con le idee chiarissime: già al primo consiglio dei ministri presieduto da Renzi fu nominata la figura chiave del segretario di Palazzo Chigi mentre il primo consiglio presieduto da Conte ha sorvolato sulla questione.


I NOMI
In realtà il borsino di ieri dava in testa per questa casella il magistrato amministrativo Vincenzo Fortunato, uomo di esperienza unanimemente riconosciuta e costruita in vari ministeri. Con ogni probabilità la nomina dipenderà dalla distribuzione dei compiti operativi fra lo stesso premier Giuseppe Conte, avvocato che conosce benissimo il mondo dei giudici amministrativi essendo stato membro del Csm di questo segmento della magistratura, e il sottosegretario alla presidenza, il leghista Giancarlo Giorgetti, politico di lungo corso.

Per il segretariato di Palazzo Chigi risultano essere in corsa anche i plurisperimentati consiglieri Carlo Deodato e Rino Terracciano. Nella rosa è presente anche il nome del professor Alfonso Celotto, una vita da civil servant con ministri di vario colore politico, che viene dato in corsa anche per le Infrastrutture e la Funzione Pubblica.

All'Economia sembra confermato il capo di gabinetto attuale: Roberto Garofoli, giudice del Consiglio di Stato e gran conoscitore dei dossier europei.

Ancora: fra le ipotesi sul tappeto c'è il ritorno al ministero dello Sviluppo, con Luigi Di Maio, di Vito Cozzoli, consigliere parlamentare che in quel ministero ha lavorato con Federica Guidi. Il caso segnala anche una differenza di comportamento fra i due partiti della coalizione. Chi sta osservando le mosse dei ministri riferisce che quelli della Lega  sembrano affidarsi soprattutto a Giorgetti per avere dritte sulle scelte del loro staff mentre quelli dei 5Stelle sembrano muoversi ognuno per conto proprio, spesso sulla base di conoscenze o rapporti personali.

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Articolo di Pirone Diodato pubblicato a pagina 8 de il Messaggero ,

La squadra di 8 «vice» e 35 sollosegretari

Lo schema è stato tracciato. Mancano i dettagli, ma per limarli e per varare anche sottosegretari e viceministri della squadra di governo bisognerà attendere qualche giorno. Cinque Stelle e Lega hanno definito la suddivisione dei ruoli — che al momento dovrebbero essere 5 viceministri e 20 sottosegretari per il M5S, 3 vice e 15 sottosegretari per il partito di Matteo Salvini — e ora la discussione si sposta all'interno delle due forze di maggioranza.
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Discorso aperto, invece, per il dicastero dell'Economia con Stefano Buffagni — che ha curato in queste settimane il dossier sulle partecipate — in corsa, oltre a Laura Castelli, per il ruolo di viceministro (per la Lega rimangono in corsa Alberto Bagnai e Armando Siri). Ma i rumors danno la deputata piemontese anche come papabile neocapogruppo a Montecitorio.




Articolo di Buzzi Emanuele e Cremonesi Marco pubblicato sul Corriere della Sera di lunedì 4 giugno 2018, pagina 7

venerdì 1 giugno 2018

Tria, Brunetta e Fortunato

Roberto Petrini e Giovanna Vitale per “la Repubblica” scrivono come Giovanni Tria sia un uomo prudente, politicamente centrista, è da tempo vicino Forza Italia, amico fraterno di Renato Brunetta.

Fu proprio il nuovo inquilino del Tesoro a sponsorizzare l'ingresso dell' ex ministro forzista a Tor Vergata, il quale nel 2010 lo ha poi nominato presidente alla Scuola dell'amministrazione, nonché suo consigliere al dicastero della Funzione pubblica.

I due giornalisti lanciano anche un'anticipazione sul grande ritorno a Capo di gabinetto del MEF: Vincenzo Fortunato, già potentissimo braccio destro di Giulio Tremonti in Via XX Settembre.


Chi è Giovanni Tria

Dopo 88 giorni di trattative a via XX Settembre arriverà, in quota Lega, Giovanni Tria, attuale preside della facoltà di Economia di Tor Vergata.

Vediamo chi è il nuovo ministro per R.Fe su Il Sole 24 ore .

Critico nei confronti dell’euro ma europeista.
Favorevole alla flat tax da finanziare anche con l’aumento dell’Iva ma scettico sul reddito di citttadinza.
Sono alcuni dei tratti di Giovanni Tria, il ministro dell’Economia nel governo penta-leghista. Una casella destinata inizialmente a Paolo Savona, bocciato domenica scorsa dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella per le sue posizioni anti-euro e che viene spostato agli Affari europei.

Romano, 69 anni, una laurea in giurisprudenza, Tria è ordinario di Economia politica all’Università di Tor Vergata a Roma.
Fino al 2017 era presidente della Scuola nazionale dell’amministrazione. Nel suo curriculum anche un’esperienza alla World Bank come consulente per lo sviluppo in Etiopia ed Eritrea (ex colonie italiane).
Tria ha espresso critiche al modo in cui è stata concepita l’integrazione europea, l’Ue e l’euro ma le sue posizioni sono lontane dalle quelle radicali di Savona, arrivato a immaginare insieme ad altri un “piano B” per l’uscita dell’Italia dalla moneta unica. Tria, in un intervento pubblicato sul Sole 24 Ore del 9 marzo 2017, firmato con l’ex ministro di Forza Italia Renato Brunetta, scriveva: «Non ha ragione chi invoca l’uscita dall’euro senza se e senza ma come panacea di tutti i mali, ma non ha ragione neanche il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, quando dice che “l’euro è irreversibile”, se non chiarisce quali sono le condizioni e i tempi per le necessarie riforme per la sua sopravvivenza. Anche perché il maggior pericolo è l’implosione non l’exit».

Il 14 maggio scorso, sul sito Formiche, Tria aveva pubblicato un commento sulle misure contenute nel contratto di governo siglato tra Lega e Movimento 5 Stelle, base per il nuovo Governo.

A proposito del reddito di cittadinanza premetteva: «Non sappiamo ancora cosa sarà» e, quindi, non si conoscono «le risorse richieste e l’ampiezza del pubblico dei beneficiari». E aggiungeva: «Sembra oscillare tra un’indennità di disoccupazione un poco rafforzata (...) e un provvedimento, improbabile, tale da configurare una società in cui una parte della popolazione produce e l’altra consuma».

L’obiettivo della flat tax, invece, veniva definito «più interessante». «Coincide con l’obiettivo di riduzione della pressione fiscale come condizione di una politica di crescita, soprattutto se si vede questo obiettivo non tanto come un modo per aumentare il reddito spendibile di famiglie e imprese, e quindi sostenere la domanda interna, ma come un modo per aumentare il rendimento dei fattori produttivi, lavoro e capitale, e quindi anche degli investimenti». Il ministro dell’Economia «in pectore» indica anche la fonte di finanziamento dell’operazione, almeno per una «parte consistente». «Non si vede - scriveva Tria - perché non si debbano far scattare le clausole di salvaguardia di aumento dell’Iva». Vedremo se, una volta in carica, confermerà il suo convincimento