L'insulto episodico del dipendente al suo superiore non giustifica il licenziamento per giusta causa. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione – con la sentenza 3042 dell'8 febbraio scorso – che affronta di nuovo (sono tanti i precedenti in proposito, spesso contrastanti) il tema della rilevanza, ai fini del licenziamento per giusta causa, delle ingiurie rivolte da un dipendente nei confronti di un proprio collega.
Una dipendente litiga con il suo superiore, la lite degenera e la dipendente pronuncia delle frasi offensive e ingiuriose verso il proprio caso. Nel caso considerato dalla sentenza, la lite è aggravata dal fatto che avviene alla presenza di terze persone, dal contenuto degli epiteti (particolarmente volgari) e dall'atteggiamento aggressivo della dipendente.
A seguito del diverbio, l'azienda licenzia per giusta causa la lavoratrice, contestando la "particolare gravità" del comportamento (che si sommava ad altri due illeciti, il rientro in servizio non autorizzato durante un periodo di congedo e la descrizione non veritiera di alcuni fatti in sede di deduzioni scritte). Il Tribunale di Catanzaro (in primo grado) e la corte di Appello (in secondo grado) hanno reintegrato sul posto di lavoro la dipendente, sostenendo che gli illeciti contestati non erano così gravi da giustificare il licenziamento per giusta causa.
La Corte di cassazione ha confermato queste decisioni, osservando che la sentenza di Appello ha correttamente valutato il comportamento del dipendente. Che, per quanto grave, secondo la Corte aveva carattere episodico, anche in ragione del fatto che il dipendente in precedenza non aveva mai assunto atteggiamenti analoghi e pertanto non poteva giustificare il licenziamento.
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