Ricevuto il 5 settembre scorso e pubblico
L’Italia, non da oggi, è, di fatto, commissariata dalla BCE.
La politica, in quanto tale, non conta più nulla; ogni decisione economica, cioè le uniche decisioni che dettano l’indirizzo di un governo e marcano le differenze, vengono prese direttamente dalla sede della Banca Centrale Europea, nonché dai famigerati mercati.
Quindi, chi decide quali politiche attuare sono le strutture economiche controllate dai fondi d’investimento, dalle grandi multinazionali e dai pescecani delle banche.
Qualcuno ci ha deriso quando, giustamente, abbiamo gridato al fascismo di ritorno nel quale stavamo sprofondando, al neoliberismo che ci governava, a una democrazia svuotata di significato e di contenuti.
Oggi, quello che sta accadendo nel nostro paese, è l'attacco finale alle condizioni materiali d’interi settori popolari, tra i quali quelli dei lavoratori del pubblico impiego, degli statali, oltre alla svendita e alla privatizzazione dei beni comuni.
Le scelte invocate in questi giorni come rimedi necessari per fare fronte alla crisi sono le solite di questo infame trentennio: la riforma del mercato del lavoro, come se non fosse stato riformato a più riprese in questi anni e sempre in chiave neoliberista e precarizzante; l’aumento dell’età pensionabile; il taglio netto dello stato sociale.
A fronte di questa "ricetta", qualcuno invoca come soluzione alternativa l'istituzione di un governo tecnico, sponsorizzato proprio dalla pseudo opposizione di centrosinistra che, è sempre bene ricordarlo, nel nostro paese è il portavoce più autorevole dei mercati, dei tagli al welfare, dei pareggi di bilancio, della controriforma delle pensioni, della controriforma continua del mercato del lavoro. Lo sosteniamo da sempre, "centrodestra" e "centrosinistra" non hanno più ragion d’essere, sono due fazioni politiche del neoliberismo che governa l’Italia.
Al suo fianco, si è sempre contraddistinta la CGIL che, avallando le cure neoliberiste, ancora oggi firma senza vergogna il documento di smantellamento dello stato sociale con i padroni di Confindustria.
Per questo lo sciopero generale convocato dalla CGIL per il 6 settembre è la registrazione del fallimento degli accordi impresentabili realizzati con i padroni di Confindustria, con i banchieri e con i collaborazionisti di CISL e UIL.
Accordi vergognosi, dettati unicamente dall'ansia di un rientro nella partita della concertazione con le classi dominanti in vista di un ricambio politico di governo; accordi il cui unico ruolo è stato quello di spianare la strada per un attacco frontale al mondo del lavoro.
La sottoscrizione del "Patto per lo sviluppo" del 28 giugno ha dato il via libera alla manovra e alla demolizione degli ultimi diritti dei salariati, e si chiama i lavoratori allo sciopero proprio con una piattaforma in linea con lo sciagurato Patto, non per contrapporsi alla compagine governativa ma per interloquire con essa, affinché quel Patto sia recepito nella manovra.
L'adesione, poi, se pur alternativa a parole, allo sciopero della CGIL di alcune strutture del "sindacalismo di base", oltre a non essere minimamente in grado di influenzare alcunché, risulta estremamente imbarazzante. La costruzione di uno sciopero generale, che coinvolga le realtà sociali del paese, non può calare dall’alto ma deve trovare la sua essenza nel coinvolgimento degli stessi lavoratori.
Costruire uno sciopero generale dal basso significa generalizzare le pratiche e gli obiettivi per comprendere al suo interno le lotte di tutti quei movimenti che in questi anni hanno prodotto un punto di vista alternativo e cicli di conflitto. Quindi generalizzare lo sciopero, vuol dire confrontarsi e condividere; insomma, vuol dire confrontarsi con i lavoratori e non, per creare un fronte di conflittualità diffusa che attraversi il paese da nord a sud, affinché lo sciopero generale non sia solo, nel migliore dei casi, una ritualità, ma diventi un grande momento di lotta per cambiare l’esistente.
Rilanciare una politica economica, sociale e democratica alternativa, è l'unica strada da percorrere; alternativa sia alle scelte sinora attuate dai governi di centrodestra, ma anche a quelle dei governi di centrosinistra e, più in generale, alle decisioni dei governi delle banche europee.
Costruire, quindi, un fronte comune contro il governo unico delle banche, che impone le stesse misure antisociali in tutti i paesi d’Europa, contrario alla politica di unità nazionale che le cosiddette parti sociali, il governo e l’opposizione, stanno lanciando proprio in questi giorni; proporre, invece, un’alternativa radicale che colpisca gli interessi della finanza e delle banche in primo luogo, e che ristabilisca eguaglianza e diritti.
Un autunno di lotte, quindi, insieme alle mobilitazioni europee che si stanno organizzando, tra le quali quelle già programmate per il prossimo 15 ottobre.
Si scenderà in piazza accanto agli indignados spagnoli e ai greci, e a tutti quelli che lottano contro l’Europa delle banche e della finanza.
Questo, è il nostro appuntamento.
LAVORATORI AUTORGANIZZATI
Ministero dell’Economia e delle Finanze
lavoratoriautorganizzatimef@gmail.com
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