In Italia non mancano le norme. Semmai, a scarseggiare, sono la volontà e la capacità di attuarle compiutamente. Prendiamo ad esempio la complessa gestione dei crediti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese.
L'ennesimo tentativo di legiferare per "sbloccare" una partita che, secondo le imprese, vale 60-70 miliardi di euro sta andando in scena in queste ore al Senato nell'ambito della conversione del decreto di Ferragosto.
Un emendamento presentato dal Terzo Polo e votato da tutta l'opposizione, col sostegno di Forza Sud, prevede che, in caso di mancato pagamento dei crediti sei mesi dopo la scadenza, sarà possibile chiedere alla Pa la certificazione delle somme dovute, con la possibilità di cedere il credito alle banche che liquiderebbero l'importo assumendone la «piena titolarità» verso la Pa.
La modifica passata in commissione Bilancio, venerdì scorso, ha messo subito in agitazione il Governo che in aula, da martedì, cercherà in tutti i modi di cassarla perché – sostengono i tecnici - la certificazione di questi crediti potrebbe incidere sull'indebitamento facendo emergere somme non contabilizzabili secondo i principi europei del Sec2 usati nei conti pubblici.
Mentre il ministero dell'Economia e la Ragioneria generale, dunque, studiano il dossier ci sono migliaia di aziende che, complice la crisi, versano in condizioni sempre più difficili. Negli ultimi anni, infatti, le ristrettezze delle casse pubbliche hanno determinato un allungamento progressivo dei tempi di pagamento, con situazioni croniche in alcuni settori, primo fra tutti la sanità (con un stock di fatture inevase di circa 40 miliardi). Soprattutto per le Pmi e le strutture artigiane che lavorano, in prevalenza, con lo Stato e gli enti pubblici riscuotere questi crediti è spesso l'unica via per tenersi in linea di galleggiamento. E dire che esiste già una norma che dal 1° gennaio 2011 consente di "scambiarli" con eventuali cartelle esattoriali.
Il decreto legge 78 del 2010 (articolo 31) ha stabilito che, dal 1° gennaio 2011, «i crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti delle regioni, degli enti locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale per somministrazione, forniture e appalti, possono essere compensati con le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo».
Con la manovra varata nel 2010 si era tentato, dunque, di dare una scossa al sistema, anche per fare da contrappeso alla stretta sulle compensazioni fiscali che ha già fatto risparmiare all'Erario oltre 6 miliardi di euro.
Questo meccanismo di compensazione diretta fra obblighi tributari e crediti non tributari finora è rimasto al palo per la complessa riorganizzazione amministrativa che comporta e per questioni di copertura. Il ministero dell'Economia «al fine di garantire il rispetto degli equilibri programmati di finanza pubblica» avrebbe dovuto "attivarlo" con un proprio decreto.
Un provvedimento di cui si sono perse le tracce. Il decreto legge 78 ha, inoltre, "stabilizzato" la procedura di cessione degli stessi crediti alle banche o agli intermediari finanziari (in precedenza limitata al biennio 2009-2010). Per poter accedere alla compensazione diretta alle aziende è stato peraltro richiesto di acquisire la certificazione dell'esistenza del credito da parte della stessa amministrazione debitrice. Una certificazione che dovrebbe essere rilasciata entro 20 giorni e che invece molto difficilmente viene concessa, come sottolineano gli operatori.
Quasi inutile, infine, rammentare che entro il marzo 2013, l'Italia dovrebbe recepire la Direttiva pagamenti che impone tempi certi per rispettare gli obblighi verso i fornitori privati da parte dei committenti pubblici.
In definitiva, le imprese non hanno bisogno di nuove disposizioni che alimentino il circolo vizioso dell'inottemperanza. Quello di cui hanno bisogno è che lo Stato, i Comuni, le Asl, le Regioni rispettino con tempestività gli impegni presi.
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