Matura responsabilità contabile a carico del responsabile dei lavori pubblici che non rispetta nelle procedure di aggiudicazione il principio della tutela della concorrenza. In tal caso egli arreca un duplice danno: priva l'ente dei risparmi che possono derivare dal rispetto di tale principio e arreca un nocumento ai privati. E non costituisce esimente dal maturare della responsabilità né ragione di riduzione il fatto che abbia seguito direttive impartite dalla giunta. Questi i principi affermati dalla sentenza n. 23 del 20 gennaio 2011 della sezione giurisdizionale dell'Abruzzo della Corte dei conti.
La sentenza evidenzia subito che «i valori dell'economicità, dell'efficacia e dell'efficienza dell'attività amministrativa rappresentano ormai i profili di maggior rilievo della legalità sostanziale del sistema giuscontabile e, in relazione ad essi, non è più consentito omettere un minimo di confronto concorrenziale per qualsiasi procedura contrattuale ad oggetto pubblico». E ancora, «simile confronto è ancor più necessario oggi che i basilari principi in materia di concorrenza e libera prestazione dei servizi, di cui agli articoli 81 e seguenti e 49 e seguenti del Trattato Ce, si impongono al rispetto degli Stati membri, indipendentemente dall'ammontare delle commesse pubbliche».
Circa il danno provocato all'ente, secondo la sentenza «è di tutta evidenza che l'asserita violazione della concorrenza provoca maggiori oneri per l'amministrazione, in quanto, ad esempio determina ribassi di gara inferiori a quelli conseguibili». Nel caso specifico, ciò si è concretizzato nella limitata partecipazione di imprese alle procedure di aggiudicazione, a seguito dei tempi estremamente ristretti (poco più di una giornata) in pratica previsti per la presentazione delle offerte. Peraltro, nello stesso ente questa aggiudicazione segue di pochi giorni a una gara analoga, in cui la percentuale di ribasso è stata enormemente superiore a quella registrata in questa procedura.
La quantificazione concreta del danno è stata effettuata «in via esclusivamente equitativa, tenendo conto del valore del contratto e dei criteri elaborati dalla giurisprudenza amministrativa in materia di risarcimento del danno per equivalente nel caso in cui non sia possibile la reintegrazione in forma specifica della pretesa dell'impresa ricorrente vittoriosa, a cui viene in genere riconosciuto un importo variabile tra il 5 e il 10% del valore del contratto originario».La condotta del dirigente è stata gravemente colposa: egli «aveva la responsabilità precipua delle gare e degli appalti per il suo settore e doveva essere particolarmente avveduto sia nell'individuazione della tipologia di gara da adottare, sia delle ditte che dovevano partecipare», mentre invece la stessa è stata caratterizzata da «superficialità e negligenza non ridotta dall'attività concorrente della giunta comunale, non competente a emanare indirizzi vincolanti nei confronti del dirigente tecnico del settore». Inoltre, la sentenza sottolinea come egli sia ricorso alla trattativa privata in luogo della asta pubblica e abbia frazionato illegittimamente l'importo dei lavori.
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