Articolo di Stefano Pozzoli pubblicato su Il Sole 24 Ore
L' ispezione della Ragioneria generale dello Stato al Comune di Napoli, avvenuta in coincidenza con la richiesta dell'ente di accedere alla procedura di predissesto, offre lo spunto per una riflessione più generale su questa importante novità introdotta dal decreto enti locali, e subito stata oggetto di approfondimento da parte della Corte dei Conti (sezione delle autonomie).
La Corte, ovviamente, ha affrontato i temi di stretta competenza delle sezioni di controllo, che saranno appunto chiamate a giudicare i piani, e quindi si è concentrata essenzialmente sulla ammissibilità degli enti alla procedura e sulla formulazione dei piani di rientro. Ma le questioni che si aprono, deliberando l'avvio da parte del Comune del ricorso al predissesto, sono molte, alcune delle quali tutt'altro che indolori per quanto riguarda gli amministratori degli enti.
Per rientrarvi occorre quindi essere in disavanzo e non solo in stato di insolvenza o di illiquidità: in sostanza, occorre ammettere che il rendiconto precedente non era veritiero, ad esempio perché viziato da un mantenimento di residui attivi a dir poco avventuroso.
Sarà pur vero che il riaccertamento dei residui contiene degli elementi di discrezionalità tecnica ma diventa difficile spiegare come, in buona fede, si possa passare da un avanzo presunto applicato al bilancio di previsione 2012 e scoprire poi che il rendiconto 2011 denuncia un disavanzo di centinaia di milioni.
In altre parole, si tratta di una autodenuncia, i cui effetti andranno valutati alla luce della lettura che ne darà non solo la magistratura sia contabile sia penale.
La magistratura contabile, infatti, dovrà riflettere sugli effetti che vi possano essere sul patto di stabilità degli anni precedenti (con il rischio del ripetersi di quanto accaduto, per motivi diversi, ad Alessandria); la magistratura penale, invece, dovrà verificare se sussistono gli elementi del falso ideologico (ovvero di alterazione consapevole del bilancio del comune).
Un altro elemento importante è, ancora, quello degli effetti del piano di rientro che inevitabilmente poggerà anche sulle entrate, stimate, originate dal fondo rotativo, che potrà essere fino a 300 euro per abitante. Ma cosa accadrà se l'accesso al predissesto verrà negato o se lo stanziamento sarà minore?
Occorre ricordare che se il predissesto è una facoltà, il dissesto, al contrario, è un obbligo e che quindi una volta avviata la procedura o questa sarà accordata oppure il default sarà di fatto una scelta obbligata.
Il caso del Comune di Napoli è, pertanto, da manuale, e la richiesta degli ispettori della Ragioneria di riaccertare altri 300 milioni di residui rischia davvero di portare il Comune al dissesto (con buona pace di chi ritiene che si possa rifiutare per scelta "politica").
È bene, ancora, sottolineare un altro aspetto di questa procedura. La cura che si propone per il piano di rientro è quella di tagliare le spese e di aumentare le entrate in misura tale non solo da riportare in bonis dei bilanci distrutti da anni di squilibrio occulto ma perfino per ripianare il disavanzo che è andato creandosi nel tempo.
Giustissimo in teoria, ma anche frutto di una scelta eccessivamente rigorista, che rischia di fare diventare i nostri Comuni tanti piccoli casi Grecia.
Cosa può indurci a ritenere, infatti, che un ente che non riesce a riscuotere 100 possa, da domani, essere in grado di incassare 150 o 200? Un percorso preferibile al dissesto, certo, ma non facilmente realizzabile in aree spesso già stremate dalla crisi e dal default di fatto di tutti gli enti territoriali, dal Comune alla azienda sanitaria.
Sinceramente non siamo in grado di immaginare una alternativa a quanto previsto dal decreto enti locali. La norma è coraggiosa e opportuna. Ma altrettanto gravi sono i problemi che essa può comportare se il governo della procedura non sarà estremamente accorto.
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