C'è un destino che malinconicamente si consuma, dietro i fumi della spending review: quello della Ragioneria generale dello Stato. A certificarne la caduta di prestigio bastano alcuni episodi recenti: i tagli e gli accorpamenti al ministero dell'Economia e alle agenzie fiscali non sonopassati per il tavolo di Mario Canzio prima del varo del governo, il 15giugno scorso. Il Ragioniere generale ha potuto visionarli soltanto dopo,per metterci il bollino di vidimazione contabile, quella bilancia di colore azzurro che garantisce regolarità di copertura e di impatto finanziario.
Quanto alla cura dimagrante per l'intero pubblico impiego, passata nella notte fra il 4 e il 5 luglio, è arrivata sì al Ragioniere prima del Consiglio dei ministri, ma senza che lui potesse "toccare palla". Uno smacco per questo organismo che supporta governo e parlamento nelle politiche e negli adempimenti di bilancio. E sì che alcune norme interessavano direttamente la Ragioneria: la decisione, ad esempio, di sopprimere e accorpare 35 sedi territoriali, quelle nelle province con meno di 300 mila abitanti.
La verità è che Mario Canzio, che ha compiuto 65 anni a marzo ma è stato prorogato nell'incarico per ora fino al 2013 (con possibilità di chiudere a 67 anni), è un vaso di coccio in mezzo a due di ferro: uno è il capo di gabinetto del ministero dell'Economia Vincenzo Fortunato, un milione di euro l'anno di reddito complessivo prima del tetto a quota 297 mila per tutti imanager pubblici, appena scattato; l'altro è Enrico Bondi, la cui recente nomina a commissario per la razionalizzazione della spesa non può essere certo letta come manifestazione di fiducia nei confronti di Canzio.All'orizzonte, per giunta, si profila la nascita di una nuova autorità dei conti pubblici, che potrebbe ulteriormente porre sotto tutela la Ragioneria.
La Ragioneria ha ottimi dirigenti - da Francesco Massicci, l'uomo dellaspesa previdenziale, ormai prossimo alla pensione, all'ispettore generale al Bilancio Biagio Mazzotta - ma è la leadership assoluta che fa difetto. La truppa è frustrata: «Vanno avanti solo gli yesmen», è un lamento ripetuto.
Uno dei metodi per premiare i fedelissimi, che ora la spending review ha abolito, era quello di attribuire loro incarichi aggiuntivi in prossimità della pensione.
Tagli e accorpamenti, anche del recente passato, tardano adare i loro frutti. Quindici mesi fa, ad esempio, sono state soppresse le Dtef (Direzioni territoriali economia e finanza). Ma uno dei vantaggi,quello di pagare un solo affitto invece di due, non è stato ancora ottenuto:la Ditef di via Zurletti a Milano, ad esempio, ha accumulato dal marzo 2011una spesa per pigione di 2,7 milioni di euro.Fino ad oggi, a comandare a via XX Settembre è stato dunque il potente capodi gabinetto del ministero dell'Economia, Fortunato, capace di rimanere insella con tutti i governi, capo di gabinetto sia con Antonio Di Pietro,quando era ministro dei Lavori pubblici sia con Giulio Tremonti: buon sanguenon mente, perché suo padre era capo di gabinetto di Emilio Colombo. Sino alla nomina di Grilli al vertice del ministero dell'Economia, Fortunato è stato una sorta di ministro-ombra. Ha dato e dà grande spazio al suovicecapo di gabinetto, Marco Pinto, che funge invece da Ragioniere-ombra. È Pinto (si fece le ossa con Vincenzo Visco di cui fu capo dell'ufficio legislativo) a scrivere le norme che Canzio poi bollina. Napoletano, è nato il giorno di Natale e quest'anno festeggia i 50 anni: un bimbo nel paese della gerontocrazia, politica e burocratica. Del resto a 25 anni era già magistrato ordinario, a 30 giudice amministrativo e a 36 vinceva il concorsopubblico da consigliere di Stato. Tecnicamente assai preparato, viene considerato un freddo esecutore di ordini, uno spietato cane da guardia. Perquesto lo chiamano Pint-bull.
La sua compagna, Valeria Vaccaro, è diventatadi recente capo del personale del ministero dell'Economia, e il portafogliodi Pinto è pieno di incarichi, dal più recente, il consiglio di amministrazione della Rai, donatogli da Monti, alla Scuola superiore di Economia e Finanza, nella quale insegna assieme allo stesso Fortunato, al capoufficio legislativo Italo Volpe e altri ancora. Scuola solo marginalmente toccata dai tagli della spending review. L'accoppiata Fortunato-Pinto potrebbe avere ora dei contraccolpi, perché a quanto pare i rapporti del capo di gabinetto con Vittorio Grilli si sarebbero guastati e non è detto che il neoministro lo tenga al suo posto.
Finché Grilli era direttore generale del Tesoro, i due andavano d'amore e d'accordo e anzi si davano addirittura appuntamento nella piscina della Guardia di Finanza, per fare qualche vasca insieme. Poi l'ascesa politica dell'economista ha cambiato il quadro. Se prima, di fatto, il capo digabinetto poteva dargli degli ordini, da novembre le gerarchie sonocambiate, e tanto più adesso che Grilli è passato da viceministro a ministro. C'è timore di un trasloco forzato, tra i più stretti collaboratori diFortunato. A meno che quest'ultimo non accetti di buon grado il nuovo ruolo. A rappacificarli potrebbe pensare magari Giulio Tremonti, sponsor dientrambi.
E chi sostituirà il 65enne Canzio quando lascerà il suo posto? Più che sulle manovre per la successione, conviene interrogarsi sul futuro stesso dell'istituzione.
E per capirlo bisogna partire da lontano.
Era un mattino di gennaio del 1991 quando Guido Carli, ministro del Tesorodel sesto governo Andreotti, chiamò nel suo ufficio il Ragioniere generaledello Stato dell'epoca, Andrea Monorchio, succeduto a Vincenzo Milazzo e aGiovanni Ruggeri: «Ho deciso di nominare Mario Draghi nuovo direttoregenerale del Tesoro, al posto di Mario Sarcinelli. Lei, Monorchio», gli chiese Carli, «ha nulla in contrario se le vostre posizioni vengonoparificate?».
Sino a quel momento, infatti, il Ragioniere generale era il secondo grado in assoluto di tutta la pubblica amministrazione, dopo il capodella Polizia e davanti a ogni altro direttore generale. Monorchio non esitòa rispondere di non avere obiezioni. Nutriva profonda stima nei confronti di Draghi e riconoscenza verso Carli, che lo aveva nominato Ragionieregenerale. Eppure quella decisione avrebbe rappresentato l'inizio del declino dell'istituzione Ragioneria Generale dello Stato. Un declino a scoppio ritardato soltanto per la personalità di Monorchio, protagonista della manovra lacrime e sangue da 90 mila miliardi di lire che nel 1992 sottrasse l'Italia al rischio Argentina, invitato ad ogni riunione del Consiglio dei ministri e capace di fare squadra con i suoi collaboratori.
Fu Ragioniere per quasi tredici anni, sino al luglio del 2002, quando formalizzò le dimissioni caldeggiate da Tremonti, che mal tollerava i suoi "no".
Un secondo colpo, più poderoso e con effetti nefasti sul futuro, venneparadossalmente portato da un altro dei più prestigiosi ministri del Tesorodella Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. Con la legge 94 del 1997 Ciampi dava il via all'accorpamento di tutti i ministeri economici, articolandoli inquattro dipartimenti a uno dei quali veniva ridotta la Ragioneria, conperdita di forza e autonomia: da capo dipartimento, infatti, il Ragioniere può essere sostituito a ogni cambio di governo.
Il meccanismo venne sancito pochi anni più tardi, con il decreto legislativo 165 del 2001 e la legge 145 del 2002, che inauguravano lo "spoil system", prevedendo, dopo il voto difiducia, la conferma o la revoca dei direttori generali.
La Ragioneria, allaquale sono appunto delegate la certezza e l'affidabilità dei conti dello Stato e la verifica dell'andamento della spesa pubblica, veniva tramortitada questa perdita di "terzietà". Le cose precipitarono con la partenza di Monorchio.
La scelta cadde suVittorio Grilli, stimato esperto di economia internazionale che poco peròmasticava le problematiche del bilancio dello Stato e che restò al timoneper tre anni, sino al maggio del 2005, con uno stipendio più che doppio rispetto al predecessore: Monorchio aveva chiuso la sua carriera con 500 milionidi lire l'anno, lui la inaugurò con 600 mila euro. Grilli diventò poi direttore generale del Tesoro e, con Monti, viceministro quindi ministro: ma gli va dato atto di aver rinunciato al 70 per cento della retribuzione, prima chiedendo l'aspettativa e poi dimettendosi da direttoredel Tesoro. L'economista informatizzò la Ragioneria, istituì un Seviziostudi, inaugurò i briefing del lunedì, ma non riusci ad aggregare i collaboratori: troppa la sua distanza culturale rispetto alle tecnicalitàcontabili degli uomini della Ragioneria.
Per quasi tre anni rimase come un pesce fuor d'acqua. Compiendo alcuni errori come quello di ispirare lacosiddetta "Gordon Brown", la regola secondo cui la spesa pubblica nonavrebbe potuto crescere di oltre il 2 per cento all'anno: un boomerangperché non teneva conto degli impegni di spesa presi in precedenza. Dopo di lui, Canzio il bollinatore. (io direi il maggiordomo ndr)
Ora la legge costituzionale n.1 del 23 aprile 2012 prevede la nascita di unorganismo indipendente di analisi della Finanza pubblica da istituire pressoil Parlamento. Un progetto che forse è stato ispirato proprio dalla cadutadi credibilità della Ragioneria generale. Per dare vita al nuovo organismo c'è bisogno di una legge ad hoc, da approvare a maggioranza assoluta entro il febbraio 2013.
L'Authority dei conti pubblici, realizzata sul modello dei fiscal council che esistono in altri paesi d'Europa e negli Stati Uniti,unificherebbe, tra l'altro, gli uffici di Bilancio della Camera e del Senato, ai quali il Parlamento si rivolge quando chiede verifiche su dati governativi. Il nuovo nato sarebbe un vero e proprio contraltare della Ragioneria generale. Ma non sarebbe meglio, si chiede qualcuno, ridare prestigio alla vecchia Ragioneria incardinando nella sua struttura la nuova authority, ma riconsegnandole imparzialità e trasparenza tecnico-contabile e sottraendola al sistema dello spoil system?
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