di Nadia Carboni su Lavoce.info
Il decreto attuativo della cosiddetta “legge Brunetta” conferma, nella versione abbozzata, le carenze e le lacune a livello normativo e attuativo in tema di dirigenza già riscontrate nel disegno di legge votato dal Senato il 25 febbraio 2009.
Una riforma capace di incidere in maniera significativa sul sistema della dirigenza pubblica necessita, a nostro avviso, di un riordino organico e coerente della disciplina, che parta in primo luogo dalla revisione dello status e delle funzioni della dirigenza, elementi del tutto trascurati dalla proposta di legge.
STATUS E FUNZIONI DELLA DIRIGENZA
Nella disciplina di riassetto della dirigenza viene riaffermato il principio, chiaramente ispirato alla filosofia del New Public Management, della comparazione ai criteri, agli standard e alle procedure del settore privato, quale benchmark per il conseguimento dell’ottimizzazione del lavoro pubblico.
Nella disciplina di riassetto della dirigenza viene riaffermato il principio, chiaramente ispirato alla filosofia del New Public Management, della comparazione ai criteri, agli standard e alle procedure del settore privato, quale benchmark per il conseguimento dell’ottimizzazione del lavoro pubblico.
Proprio nell’ambito del confronto con il privato si pone il primo vero problema, irrisolto, della riforma della dirigenza: la mancanza di una definizione corretta e rivista di “dirigente” oggi.
Alla luce di un ventennio di riforme che, in maniera più o meno riuscita, hanno avvicinato il profilo del dirigente pubblico al dirigente di azienda, è inevitabile rivedere e attualizzare i contenuti della definizione di “dirigente” sia sul piano funzionale che strutturale.
Prima di procedere con qualsiasi intento propositivo e attuativo di riforma, bisognerebbe interrogarsi sul significato di management nel settore pubblico: ad esempio, cosa significa essere manager nella pubblica amministrazione?
Di quali poteri e di quale grado di autonomia dispongono i dirigenti pubblici nella gestione delle risorse umane, nella predisposizione e nell’utilizzo delle risorse finanziarie?
La responsabilizzazione dei dirigenti che ritorna imperativa in ogni tentativo di riforma richiede di essere accompagnata da un parallelo processo di autonomizzazione della funzione dirigenziale. Se si vuole attribuire al dirigente il ruolo di cardine della manovra di miglioramento della pubblica amministrazione, va reso il più possibile autonomo nell’uso delle risorse umane e finanziarie. Allo stesso tempo, ogni azione di sistema (i monitoraggi sui costi, le operazioni di trasparenza, gli organismi centrali sulla valutazione) dovrebbe essere pensata in termini di sostegno a questo ruolo, e non di penalizzazione.
La valorizzazione di un management pubblico moderno va senza dubbio ricollegata alla possibilità di esercitare poteri gestionali e di direzione effettivi, così come al riconoscimento di una autonoma sfera di intervento.
Inoltre, la nuova legge non opera alcuna distinzione a seconda della tipologia e della qualità degli uffici assegnati e dei compiti affidati ai dirigenti, così come tale differenziazione non è riscontrabile nella normativa finora vigente.Insomma, senza una definizione precisa e puntuale di “dirigente”, qualsiasi operazione per di fissare gli obiettivi e la conseguente valutazione dei risultati rischia, a nostro parere, di restare disattesa.
LA RELAZIONE TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE
Strettamente legata alla precedente problematica, è la vexata quaestio della relazione tra politica e amministrazione. Nonostante il disegno di legge esprima la necessità di regolare il rapporto tra organi di governo e dirigenti apicali delle amministrazioni, di fatto il trade off tra autonomia burocratica e controllo politico non trova ancora soluzione (o meglio equilibrio).
Strettamente legata alla precedente problematica, è la vexata quaestio della relazione tra politica e amministrazione. Nonostante il disegno di legge esprima la necessità di regolare il rapporto tra organi di governo e dirigenti apicali delle amministrazioni, di fatto il trade off tra autonomia burocratica e controllo politico non trova ancora soluzione (o meglio equilibrio).
A questo proposito andrebbe riconosciuto e affrontato il problema dell’area di fiduciarietà che, nei fatti, separa i vertici della politica da quelli dell’amministrazione.
Detto in altri termini, la disciplina della dirigenza dovrebbe distinguere tra coloro che, di nomina fiduciaria, ricoprono un ruolo di “filtro” o “intermediazione” tra la volontà politica e la cura dell’amministrazione, sull’esempio dei political appointees americani o dei directeurs de cabinet francesi, contribuendo all’attuazione dell’indirizzo politico – condizione alla base di una amministrazione responsabile (accountable) e ricettiva (responsive) nei confronti degli elettori –; e coloro che, invece, sono preposti in posizione apicale alla gestione dell’amministrazione, secondo il modello della separazione. Tale distinzione permetterebbe di chiarire inoltre il ruolo e le funzioni del personale che presiede gli uffici di gabinetto del ministro rispetto a coloro i quali ricoprono una posizione di snodo tra politica e amministrazione, come i segretari generali e i capi di dipartimento nei ministeri.
La riforma Brunetta offra nel suo complesso alcuni spunti da cui formulare proposte per un percorso di rinnovamento in grado di rilanciare il ruolo e le funzioni delle pubbliche amministrazioni.
Ma rimane la convinzione che non sia possibile alcuna riforma stabile e incisiva del settore pubblico, se non si parte da un coraggioso ripensamento della sua dirigenza.
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