Operazioni di «cosmesi contabile», costi caricati in maniera iniqua sulle generazioni future fino al 2060, una gestione finanziaria approssimativa, scelte politiche non efficienti e scelte contabili che sembrano fatte apposta per ingenerare confusione. E, da ultimo, 44 miliardi di debiti contratti dalle Ferrovie e accollati allo Stato nonostante la vecchia holding sia stata ufficialmente privatizzata almeno fin dal 1992.
Una cifra iperbolica, tanto da superare la finanziaria triennale di Tremonti, ferma a 39 miliardi. Come è stato possibile lo spiega l’ultima relazione della sezione centrale di controllo della Corte dei Conti che ha analizzato due diverse operazioni.
La prima ratificata con la legge 662, approvata il 23 dicembre del 1996 (due giorni prima di Natale). L’Erario si accollò tutti i prestiti stipulati e quelli in procinto di esserlo, alla data del 31 dicembre 1996. Risultato: 31.193.478.511 euro a carico dei cittadini.
Operazione appunto definita dai magistrati istruttori Aldo Carosi e Fabio Viola: «Cosmesi contabile al bilancio delle Fs con il fine di migliorarne indirettamente il conto economico».
La seconda è più recente: la fallimentare nascita di Ispa (Infrastrutture Spa), società costituita nel 2002 con lo scopo di finanziare l’Alta Velocità.
Ispa avrebbe contratto prestiti con banche internazionali e avrebbe prestato denaro a Rfi-Tav tramite l’emissione di proprie obbligazioni e la creazione di un patrimonio separato. I prestiti contratti da Ispa avrebbero dovuto essere restituiti grazie agli introiti ottenuti dall’Alta Velocità. Peccato - notano i giudici - che nessuno studio di fattibilità abbia mai dimostrato che la creazione di Ispa fosse più vantaggiosa nella raccolta dei prestiti. Peccato che il patrimonio separato si sia rivelato «sostanzialmente inconsistente in quanto basato su ricavi futuri stimati approssimativamente». E peccato soprattutto che Ispa, nata per non far ricadere sul bilancio statale i costi dell’Alta Velocità, avesse su quel debito la garanzia dello Stato.
Eurostat, in virtù di quella garanzia, ha imposto di far rientrare i debiti di Ispa nel bilancio dello Stato. A quel punto (nel 2005) la società è stata sciolta e incorporata nella Cassa Depositi e Prestiti. I debiti contratti sono finiti di nuovo nel calderone dell’Erario statale: altri 12.950.000.000 di euro scaricati sul pubblico.
E dire che il presidente di Ispa, l’ex ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio, nel 2003 aveva dichiarato al Senato che la società non avrebbe mai pesato sul debito pubblico.
La realtà dei fatti ha dimostrato il contrario.
C’è anche dell’altro, nell’analisi dei magistrati contabili. Ad esempio, quei «ricavi futuri stimati approssimativamente», finivano comunque per essere pagati dalle casse dello Stato. «Gravanti direttamente o indirettamente su risorse pubbliche - è scritto nella relazione - sfruttamento delle tratte da parte di gestori, in prevalenza pubblici, di trasporti ferroviari, integrazioni a piè di lista caricate direttamente dalla legge sull’Erario».
Poi, il capitolo della gestione finanziaria. Scrive ancora la Corte dei Conti: «Complesse clausole finanziarie penalizzano spesso la parte pubblica, la quale, anche a causa dell’insufficienza di un’azione conoscitiva di supporto, tende ad eseguire pedissequamente gli articolati contrattuali, senza valutare l’opportunità di azionare opzioni in essi contenute».
Come dire: i funzionari si sono limitati a pagare le rate dei prestiti senza controllare se ci fosse un modo per pagare meno.
Un esempio? I famigerati derivati.
La Corte calcola che quelli sui prestiti Ispa sono costati allo Stato, complessivamente, 126 milioni di euro in tre anni e chiede delucidazioni al Ministero.
Risposta: sì, ma il prossimo anno, forse, ne incassiamo 15.
Peccato, notano i giudici, che le previsioni precedenti si siano rivelate sballate. Ancora: perché i contratti su due prestiti, simili per caratteristiche e ammontare, sottoscritti a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro con Depfa e Morgan Stanley, hanno tassi tanto diversi, rispettivamente del 4,8% e del 5,48%? «La circostanza lascia perplessi», scrivono laconicamente i magistrati contabili, che tirano in ballo le responsabilità dei manager pubblici mai stati fatti oggetto di indagine interna e mai stati chiamati a rendere conto delle loro azioni. «Vicenda emblematica e fortemente rappresentativa», conclude la Corte. Lo terranno presente i nostri nipoti.
La relazione della Corte dei Conti è arrivata sulla mia scrivania pochi giorni prima delle ferie e finalmente qualche giornale ha pubblicato lo scandalo delle FFSS (ovviamente io non potevo per segreto d'ufficio).
Tra le righe dell'articolo c'è anche un altro problema serio ce dei derivati: nessuno conosce o relaziona sull'attività della gestione dei derivati del MEF!!
Buona Anno a tutti
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