giovedì 4 ottobre 2012

Che cosa manca alla risposta di Grilli

Ci saremmo aspettati che il ministro Grilli avesse reagito immediatamente alla pubblicazione su questo giornale, sabato 29 settembre, dei testi delle conversazioni telefoniche fra il ministro, allora direttore generale del Tesoro, e Massimo Ponzellini, ai tempi presidente della Banca Popolare di Milano. 
Oggi Ponzellini è indagato per corruzione privata con l’accusa, tra l’altro, di avere finanziato illegalmente politici e partiti, mettendo la banca al centro di un sistema clientelare. Ma già all’epoca erano emerse diverse irregolarità nell'attività dell’istituto, sottoposto a ispezione di Banca d’Italia e a rischio di commissariamento. 

Il ministro ha, invece, preferito attendere la pubblicazione di un articolo di Luigi Zingales sulla prima pagina del Sole24ore, in cui gli si chiedeva ragione di queste conversazioni (nonché sulle voci riguardo a consulenze offerte da Finmeccanica, società controllata dal Tesoro, alla sua ex-moglie) per chiarire la propria posizione. Meglio tardi che mai. 


Tuttavia la lettera del ministro non affronta un nodo cruciale. Nelle conversazioni con Ponzellini, Grilli aveva chiesto al banchiere di perorare la sua causa presso Bersani, in modo tale che non ostruisse la sua candidatura a Governatore di Banca d’Italia. In questa richiesta si intuisce il rischio che il Paese ha corso nella estenuante procedura di nomina del successore di Mario Draghi ai vertici di via Nazionale. 
Se fosse stato nominato Vittorio Grilli, avremmo avuto un Governatore che, in partenza, aveva un debito da saldare con le entità da lui stesso regolate. 
Quando si chiede un favore a chi sarà sottoposto alla propria vigilanza, ci si mette nelle condizioni di non poter operare serenamente il proprio mandato. Questo indipendentemente dalle buone intenzioni (dall’ingenuità) del ministro. Il quale purtroppo, nella lettera al Sole24ore, omette qualsiasi riferimento a questo potenziale do ut des. 
Il sospetto è che Grilli sottovaluti questi problemi nel rapporto fra autorità di regolazione e soggetti regolati. 
È un sospetto corroborato dalla disinvoltura con cui ha in più occasioni enfaticamente celebrato le fondazioni bancarie, enti soggetti alla sua supervisione (“le fondazioni sono rigorose e solidali al tempo stesso e, grazie alla leadership di Guzzetti, hanno capito che devono lavorare insieme”). Si potrebbe pensare che la mancata censura da parte del ministro di quelle fondazioni (come Compagnia San Paolo, Cariparo e fondazione Mps) che si sono indebitate pur di non perdere quote di controllo nelle banche conferitarie, sia frutto anch’essa di un do ut des, che ripaga il passato sostegno delle fondazioni alla sua candidatura in via Nazionale. 

Il ministro ha oggi la possibilità di contribuire a fugare questi dubbi. In questi giorni si stanno definendo le modalità con cui le fondazioni bancarie continueranno a partecipare al capitale della Cassa Depositi e Prestiti (Cdp). Le fondazioni hanno sin qui avuto un trattamento molto vantaggioso, ottenendo, in cambio del loro contributo al capitale della Cdp, obbligazioni indicizzate con un rendimento del 3 per cento in termini reali all’anno e al tempo stesso poteri di controllo e nomina dei vertici della Cassa. Oggi alle fondazioni viene richiesto di offrire un conguaglio, stimato in circa 6 miliardi, che compensi il fatto che la Cdp ha aumentato il proprio patrimonio senza che le fondazioni abbiano condiviso il rischio corso con questi investimenti dagli altri azionisti, cioè dal contribuente, dato che la quota rimanente della Cassa è posseduta dal Tesoro. Le fondazioni si oppongono a pagare questo conguaglio e sembrano disposte a versare solo un sesto della somma richiesta, con un costo per il contribuente fino a 5 miliardi. 
Se Vittorio Grilli vuole dimostrare nei fatti di non avere alcuna sudditanza nei confronti delle fondazioni bancarie, può fare ciò che va nell’interesse del contribuente. Liquidi le fondazioni al prezzo di acquisto, riconoscendo che sono state degli obbligazionisti in questi anni. E cominci fin da subito a cercare altri sottoscrittori, veri sottoscrittori che mettono in Cdp soldi loro, indipendenti dal controllo del Tesoro. Permetterebbe alle fondazioni di concentrarsi davvero sulle attività di pubblica utilità, che dovrebbero essere il loro core business, e a una controllata dallo Stato di confrontarsi con veri azionisti, evitando al contempo un nuovo bagno di sangue per il contribuente. 

Articolo di Tito Boeri pubblicato su La Repubblica del 04/10/2012 e riportato da triskel182.wordpress.com

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