La Corte costituzionale, con la sentenza n. 81 del 5 marzo 2010, in continuità logica con quanto affermato nelle pronunce n. 103 del 2007 e n. 161 del 2008, ha affermato che è costituzionalmente illegittimo l’art. 2, co. 161, del decreto legge n. 262/2006 (“Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria”), nella parte in cui dispone che gli incarichi conferiti al personale di cui al co. 6, dell’art. 19 del Dlgs n. 165/2001 (“Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”), conferiti prima del 17 maggio 2006, “cessano ove non confermati entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto” perché in contrasto con gli artt. 97 e 98 della Costituzione, in quanto lesiva del principio dell’imparzialità e del buon andamento e del principio di continuità dell’azione amministrativa.
La ricorrente tentazione della politica di condizionare la dirigenza pubblica attraverso nomine a contenuto fiduciario è stata definitivamente censurata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 81/2010 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ultima norma di previsione dello spoils system per gli incarichi dirigenziali esterni che ancora sopravviveva dopo le pronunce nn. 103/2007 e 161/2008 relative alle altre categorie dei pubblici dirigenti nominati ai sensi dell’art. 19 del Dlgs n. 165/2001.
Anche questa volta la corte costituzionale ha riaffermato l’illegittimità della decadenza automatica ex lege dagli incarichi dirigenziali perché in contrasto con gli artt. 97 e 98 della Costituzione, in quanto lesive del principio dell’imparzialità e del buon andamento e del ruolo dei pubblici impiegati posti dalla Carta costituzionale al “servizio esclusivo della Nazione”.
Esclusa la possibilità di cessazione automatica degli incarichi dirigenziali non apicali a seguito del cambio di Governo, una eventuale revoca dei medesimi incarichi si può legittimamente esercitare solo nell’ipotesi prevista dall’art. 21 del Dlgs n. 165/2001 e cioè in caso di responsabilità dirigenziale per mancanza di raggiungimento degli obiettivi fissati o inosservanza delle direttive ministeriali.
La revoca deve essere quindi ancorata a dati oggettivi e valutabili, e non già ad nutum, inoltre deve seguire precise garanzie procedimentali.
I principi del giusto procedimento - dettati dalla legge n. 241/1990 - impongono l’adozione della revoca con atto motivato e previo contraddittorio. L’atto di revoca, a differenza della cessazione ex lege dell’incarico è quindi sottoposta a controllo giurisdizionale in relazione alla sua legittimità sostanziale e al rispetto delle garanzie procedimentali.
L’art. 21 del Dlgs n. 165, come modificato dal Dlgs n. 150/2009, prevede poi che l’impossibilità di rinnovo dell’incarico sia legata all’oggettivo riscontro del mancato raggiungimento degli obbiettivi - da accertarsi attraverso le risultanze del sistema di valutazione previsto dallo stesso Dlgs in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni - o all’inosservanza delle direttive ministeriali imputabili al dirigente.
Sembra così venir meno quello spoils system mascherato che lasciava, in seguito alla cessazione dall’incarico per scadenza del termine previsto, alla discrezionalità del Ministro il rinnovo dello stesso indipendentemente dai risultati raggiunti. L’impossibilità di rinnovo dell’incarico dirigenziale dovrà essere quindi adeguatamente motivato in ragione dei scarsi risultati raggiunti dal dirigente, motivazione che potrà essere sindacata dal giudice se non adeguata e non rispondente ai criteri indicati dalla legge.
Conclusioni: il difficile rapporto tra politica e amministrazione
La complessa vicenda che ha riguardato il sistema dello spoils system e il continuo rimaneggiamento dell’art. 19 del Dlgs n. materia di conferimento degli incarichi dirigenziali, evidenzia il difficile rapporto esistente tra politica e amministrazione.
La separazione tra politica e amministrazione tanto declamata all’indomani del Dlgs n. 29/1993 in ragione della effettiva maggiore valorizzazione dei compiti gestionali del dirigente, e l’impossibilità per il ministro di avocare a sé gli atti del dirigente (art. 14, co. 3, del Dlgs n. 165/2001) , è “caduta” miseramente su un sistema, quello dello spoils system che, ben lungi dal garantire indipendenza e imparzialità al dirigente, ne hanno condizionato l’azione in ragione del pesante condizionamento rappresentato dalla necessità del gradimento ministeriale in vista della conferma dell’incarico.
Con chiarezza costituzionale ha ridelineato i confini della politica ribadendo i principi costituzionali che regolano l’azione dei dipendenti e dirigenti pubblici.
Il principio di imparzialità, come ben ricordato dalla Corte, esclude che il dirigente possa essere al servizio di una parte politica piuttosto di un’altra. Così come la regola fondamentale secondo cui i pubblici impiegati sono “al servizio esclusivo della Nazione” e non già di un partito o di un altro.
Tale principio non solo racchiude un monito per i politici ma costituisce anche criterio di condotta per i dirigenti. L’interesse pubblico che gli stessi devono perseguire nella propria azione, è comunque una peculiarità del rapporto di pubblico impiego che, se pure quanto più privatizzato nell’ottica di una più moderna amministrazione, non può comportare una completa assimilazione tra pubblico e privato, e impegna il dipendente nella valutazioni delle scelte migliori per l’interesse della collettività.
In tale prospettiva l’ampia possibilità di ricorrere ad esterni nell’attribuzione di incarichi dirigenziali, è diventata non di rado la via per assunzioni clientelari che non solo hanno dato scandalo ai cittadini e generato disaffezione tra i dirigenti entrati per concorso con legittime aspettative di promozione, ma ha altresì accentuato il fenomeno della fidelizzazione tra il dirigente e l’organo politico.
Tant’è che la legge “Brunetta”, anche ad evitare censure da parte della Corte dei conti per responsabilità erariale, è intervenuta specificando che gli incarichi dirigenziali ad esterni possono essere conferiti “fornendone esplicita motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell’amministrazione” (art. 38, co. 1, lett. e), del Dlgs n. 150/2009 di modifica all’art. 19, co. 6).
La previsione, poi, della temporaneità degli incarichi, al di là delle tecniche dello spoils system, impone un obbligo di riflessione sull’effettiva separazione tra politica e dirigenza.
L’intervenuta separazione tra lo status dirigenziale e l’affidamento dell’incarico dirigenziale, con la previsione della temporaneità di quest’ultimo di durata anche inferiore di quello della classe politica, se da un lato offre la possibilità di affidare ai più idonei gli incarichi dirigenziali (con la necessità di valutare anche le attitudini del dirigente in relazione alla complessità della struttura organizzativa), non convince del tutto circa l’effettiva condizione di obiettività, di imparzialità e indipendenza al fine della corretta valutazione degli interessi pubblici.
Sicuramente un rilevante passo avanti, in tale direzione, è stato compiuto con la attuale previsione che il diniego di rinnovo dell’incarico deve essere comunque motivato in ragione del mancato raggiungimento di risultati valutati obbiettivamente o per la mancanza dell’osservanza delle direttive del ministro, in tal modo concretizzandosi legittimamente il controllo di quest’ultimo a cui spetta esercitare le funzioni di “indirizzo politico amministrativo, definendo gli obbiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli atti che rientranti nello svolgimento di tali funzioni e verificano la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione degli indirizzi impartiti” (art. 4 del Dlgs n. 165/2001).
Si impone, in ogni caso, alla dottrina e alla giurisprudenza una seria riflessione circa le reali condizioni che possono assicurare al Paese una dirigenza pubblica realmente imparziale e indipendente.
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