lunedì 13 settembre 2010

Al dirigente pubblico leso spetta solo il risarcimento


I dirigenti nel pubblico impiego non hanno diritto all'attribuzione del posto anche quando è provato che l'amministrazione ha agito in violazione delle regole di correttezza e buona fede.
In questo caso, infatti, la parte ha diritto al risarcimento del danno ma non può pretendere la retribuzione corrispondente alla qualifica.
Sono le conclusioni raggiunte dalla sezione lavoro della Cassazione nella sentenza 18857/2010 che ha respinto il ricorso di un dirigente superiore dell'assessorato regionale al lavoro.
Secondo i giudici della Cassazione nel lavoro pubblico privatizzato, alla qualifica dirigenziale corrisponde soltanto l'attitudine professionale all'assunzione di incarichi dirigenziali, mentre gli interessati non hanno «alcun diritto soggettivo all'attribuzione o al mantenimento di un incarico dirigenziale».
L'atto di conferimento, ha spiegato la Suprema corte, è espressione del potere di organizzazione della Pa e la posizione soggettiva dell'aspirante all'incarico non è di diritto soggettivo ma di mero interesse legittimo. Si tratta, in sostanza, di una situazione simile a quella di un partecipante a una procedura di selezione concorsuale adottata dal datore di lavoro privato. Ne consegue che il giudice ordinario può sottoporre ad analisi i poteri esercitati dalla Pa sotto il profilo dell'osservanza delle regole di correttezza e buona fede ed eventualmente stabilire un risarcimento in favore della parte lesa, senza che, in assenza di un contratto stipulato con la Pa, la pretesa risarcitoria possa essere fondata sulla lesione del diritto al conferimento dell'incarico dirigenziale e prevedere la retribuzione corrispondente.

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