venerdì 1 ottobre 2010

Più «elasticità» sugli organismi di valutazione

articolo di Giovanni Urbani pubblicato il 20 settembre 2010 sul sito de "Il Sole 24 ore"

Con il Dlgs 150/09 la misurazione delle performance diventa essenziale per il miglioramento della Pa italiana e gli organismi indipendenti di valutazione (Oiv) rappresentano uno strumento fondamentale per permettere il processo di valutazione della performance organizzativa e individuale.
L'ambito di applicazione della riforma è a geometria variabile, in quanto ci sono norme rientranti nella potestà legislativa esclusiva dello Stato e direttamente applicabili alle regioni, e norme che costituiscono solo principi fondamentali dell'ordinamento cui si adeguano le amministrazioni territoriali. Per gli Oiv non c'è assoluta chiarezza sul loro funzionamento, nei ministeri e negli "altri" enti, nonostante l'ottima delibera 4/10 Civit. D'altra parte la novità ha bisogno di sperimentazione e di approfondimenti sul campo.
Di certo oltre i ministeri (e gli organismi assimilabili dal Dlgs 150/09) esistono migliaia di altri piccoli-medi-grandi enti territoriali (come comuni, province, camere di commercio) in cui dovranno essere nominati i componenti degli Oiv, in forma monocratica o meno. La qualità di questi componenti, intesa come autorità e autorevolezza degli stessi, così come voluta dal legislatore e specificata nella delibera 4 della Civit, deve essere elevata, per non vanificare tutta la riforma Brunetta.
Un dato oggettivo è che in Italia si stimano solamente centinaia (esagerando, un migliaio) di soggetti candidabili nell'Oiv, con "tutti" i requisiti relativi all'area delle conoscenze, dei requisiti di base generali, delle esperienze professionali, delle capacità, così come indicato in dettaglio dalla autorità Civit.
Si rammenta che nella storica Associazione italiana di valutazione, l'organismo più accreditato in Italia in materia di valutazione pubblica, sono presenti meno di 400 soci valutatori (tra accademici, manager pubblici e professionisti).
Il problema all'orizzonte nasce dalla esclusività del rapporto per i componenti degli Oiv, come definito dal punto 2.8 della delibera 4 Civit: infatti, se tale condizione appare comprensibile per i ministeri (e altri organismi assimilati dalla norma), risulta assurda per gli enti territoriali.
Se è chiaro che non si può appartenere contemporaneamente a più Oiv nello "stato", margini di incertezza nascono per gli enti territoriali. Infatti, se il legislatore avesse inteso il profilo dell'esclusività del rapporto assoluto anche negli enti territoriali, di fatto avrebbe ammesso di voler coprire solo una piccola percentuale dei posti di componente Oiv con soggetti autorevoli (centinaia di valutatori per decine di migliaia di posti disponibili in Italia). Il resto sarebbe coperto da "non da specialisti", così come è stato per i nuclei di valutazione interni con la stagione dei "controlli" (Dlgs 286/99).
Non mitigherebbe di molto questa negatività nemmeno la possibilità di costituire l'Oiv in forma associata: il gap è sempre troppo elevato. Sarebbe il fallimento della riforma Brunetta, con una quota di copertura idonea dei posti di componenti nettamente inferiore al 10 per cento.
Naturalmente alcuni limiti potrebbero essere stabiliti, per evitare, altresì, che un componente possa far parte di più Oiv afferenti a enti territoriali diversi in modo esagerato a scapito della qualità del suo lavoro (al massimo 4-5 enti).
Si auspica, pertanto, che l'esclusività di componente dell'Oiv non debba applicarsi agli enti territoriali. Il Civit dovrebbe ridefinire operativamente la propria posizione in tal senso, per la diffusione reale della cultura della valutazione nella pubblica amministrazione e per l'attuazione della riforma. Occorre migliorare gli standard qualitativi della Pa per la competitività del paese, «essere più produttivi facendo cose utili».

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