lunedì 6 luglio 2009

Chi paga le spese d'iscrizione del pubblico dipendente all'albo avvocati?

di Luca Busico, vice dirigente dell'Università di Pisa - approfondimento pubblicato su Gpi n. 6 di giugno 2009
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L'art. 3, co. 4, lett. b), del Rdl 27 novembre 1933, n. 1578, convertito dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, consente, in deroga al generale divieto di esercizio della professione forense stabilito per gli impiegati pubblici, l'espletamento della predetta professione da parte degli avvocati degli uffici legali istituiti presso gli enti pubblici, attraverso l'iscrizione nell'elenco speciale annesso all'albo ordinario tenuto presso il Consiglio dell'ordine locale.

Ai fini dell'iscrizione nell'elenco speciale la norma richiede che presso l'ente pubblico esista un ufficio legale costituente un'unità organizzativa autonoma nell'ambito della struttura dell'ente, che svolga in via esclusiva attività forense, e che coloro i quali sono ad esso addetti esercitino con libertà, autonomia e sostanziale estraneità dall'apparato amministrativo le loro funzioni di competenza. Chi paga le spese: il dipendente o l'ente di appartenenza? Molto discussa è la questione del pagamento delle spese di iscrizione al suddetto elenco speciale, vale a dire se esse debbano essere sopportate personalmente dal dipendente, che svolge attività forense o, invece, debbano gravare sull'ente di appartenenza.

Come è noto, secondo la costante giurisprudenza della Suprema corte di cassazione presupposto imprescindibile per l'iscrizione nell'elenco speciale è l'esclusività dell'espletamento dell'attività di assistenza, rappresentanza e difesa dell'ente pubblico, presso il quale gli avvocati prestano la propria opera, nelle cause e negli affari dell'ente medesimo.
Partendo da tale premessa, il giudice di legittimità ha recentemente affermato che il pagamento della quota annuale di iscrizione all'elenco speciale annesso all'albo degli avvocati è una spesa assunta nell'esclusivo interesse del datore di lavoro e, come tale, gravante sullo stesso.
Opposto è l'orientamento della magistratura contabile, come risulta da diverse pronunce emesse in sede di controllo, secondo le quali è ad esclusivo carico del dipendente l'incombenza relativa al pagamento dell'iscrizione annuale all'albo. La Corte dei conti poggia le proprie conclusioni su due argomenti:
1) l'iscrizione ad un albo professionale, anche ove fosse necessaria per lo svolgimento dell'attività svolta dal dipendente per l'ente, non può ritenersi effettuata nell'esclusivo interesse del datore di lavoro, poiché attiene a profili strettamente connessi con la professionalità del soggetto iscritto, arrecando benefici alla sua diretta sfera di interessi;
2) il principio espresso dall'art. 2, co. 3, del Dlgs 30 marzo 2001, n. 165, secondo cui l'attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali. Conseguenza delle predette conclusioni è che l'eventuale rimborso al dipendente delle spese di iscrizione all'albo si traduce in un onere finanziario ingiustificato, privo di fondamento normativo e, perciò, tale da integrare una possibile ipotesi di danno erariale.
Come è stato acutamente osservato, desta meraviglia il fatto che in sede di contrattazione collettiva non sia mai stato affrontato il problema delle spese di iscrizione dei pubblici dipendenti agli albi professionali, benché si tratti di un problema semplice, di ridotta incidenza economica e di tipica spettanza contrattuale. La contrattazione collettiva, che spesso tende ad espandere il proprio intervento anche in aree ad essa non riservate, in questo caso è, invece, rimasta inerte.
La regolamentazione della questione ad opera della fonte pattizia comporterebbe due non trascurabili vantaggi:
a) evitare che gli enti pubblici (anche all'interno dello stesso comparto) adottino soluzioni differenti a fronte del medesimo problema;
b) evitare l'insorgenza di contenziosi in materia.
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articolo pubblicato su professionisti 24ore.com

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