giovedì 5 ottobre 2017

La partecipazione è solo a parole

Vitalba Azzolini scrive su lavoce.info relativamente alla “partecipazione” prevista dal decreto legislativo sulla trasparenza della pubblica amministrazione.  Ma in realtà a causa del combinato disposto della normativa italiana la partecipazione non è intesa come "prendere parte" ma solo come controllo successivo. Per tanto l'autrice auspicherebbe che quando una nuova espressione viene inserita in un testo normativo occorre che apporti qualcosa in più e di diverso rispetto a concetti già presenti: altrimenti, meglio evitarla.
 
"Il decreto legislativo n. 97/2016 ha dotato il nostro ordinamento di uno strumento che esiste da tempo in altri paesi: il cosiddetto Freedom of Information Act (Foia).

Il provvedimento ha sovvertito la precedente impostazione in tema di trasparenza amministrativa: da un lato, riconoscendo il diritto all’informazione su dati e documenti della pubblica amministrazione anche a chi non sia titolare di un interesse specifico e qualificato, senza necessità di motivazione (come invece disposto dalla legge 241/90); dall’altro, aggiungendo alla trasparenza di tipo “proattivo” – pubblicazione obbligatoria sui siti web di quanto indicato dalla legge (Dlgs 33/2013) – una di tipo “reattivo”, cioè in risposta a istanze di conoscenza avanzate da “chiunque”.

Sulla valenza “rivoluzionaria” del Foia, così come sui dubbi circa la sua efficacia, è stato scritto molto. Ma una novità pare non sufficientemente vagliata: la trasparenza delle pubbliche amministrazioni, prima tesa esclusivamente al “controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”, viene ora finalizzata anche alla “partecipazione”.

La previsione del nuovo obiettivo della trasparenza – la “partecipazione” – induce a chiedersi se l’espressione formale rechi un valore aggiunto sostanziale o se si risolva in una formula accattivante, ma priva di una portata davvero innovativa.
 
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In particolare, la nuova previsione della “partecipazione” induce a pensare che con il Foia i cittadini riescano finalmente a “prendere parte” a processi decisionali in via di svolgimento della Pa. Ma, per poterlo fare realmente, dovrebbero quanto meno essere messi al corrente circa le attività amministrative in corso.
Invece, nell’ordinamento nazionale le amministrazioni sono tenute a informare la collettività di procedure in atto, ai fini del coinvolgimento di individui e associazioni, esclusivamente in casi specifici (per lo più quando vi sia un particolare impatto su ambiente e territorio).
Al di fuori di questi casi, è difficile che i cittadini possano venire a conoscenza di attività amministrative di tipo generale se non dopo che un provvedimento sia stato adottato e reso pubblico, cioè quando ormai l’iter è concluso.
Di conseguenza, la “partecipazione” secondo l’art. 1 del Foia può realizzarsi solo a posteriori – e non in itinere – e finisce per coincidere con il “controllo” già previsto dallo stesso articolo: quindi, ne rappresenta una duplicazione, poiché non apporta nulla di diverso.
 
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In conclusione, si può decidere se e come aprire ai cittadini l’azione della Pa, considerati anche i costi a ciò connessi. Ma quando una nuova espressione viene inserita in un testo normativo occorre che apporti qualcosa in più e di diverso rispetto a concetti già presenti: altrimenti, meglio evitarla. Le parole sono importanti e nelle leggi ve ne sono già troppe: per non ingenerare confusione o aspettative non fondate, si usino solo quelle che servono veramente.
 
leggere l'articolo completo di Vitalba Azzolini su La Voce.info

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