Articolo di Tito Boeri pubblicato su www.lavoce.info
Meriti e demeriti della politica economica del quarto Governo Berlusconi, giunto a due anni e mezzo di vita e destinato a proseguire con difficoltà se manterrà il margine di appena tre voti di maggioranza alla Camera, si riassumono nella decisione di non decidere.
Si è scelto consapevolmente di evitare qualsiasi misura di contrasto alla grande recessione. Questo ha contribuito alla più forte caduta del prodotto interno lordo nell'Italia del dopo-guerra: nel complesso, un calo del 6,5 per cento.
Tra i paesi del G20 solo il Giappone ha fatto peggio.
Da notare che la caduta in Italia è stata doppia di quella della Francia, un altro grande paese Ocse che, come il nostro, non ha registrato né lo scoppio della bolla immobiliare né una seria crisi bancaria. Allo stesso tempo, l'inazione del governo ha evitato un forte deterioramento del deficit pubblico. Alla luce della crisi del debito sovrano che ha colpito l'Eurozona non è difficile riconoscere i vantaggi di questa politica. La situazione avrebbe potuto essere decisamente peggiore.
I problemi dell'economia italiana e le preoccupazioni maggiori per la sostenibilità del nostro enorme debito pubblico sono tutti legati alla bassa crescita del prodotto potenziale. Come rivela anche la struttura temporale dei Cds, gli investitori non sono tanto preoccupati per la legge finanziaria del 2011, quanto per le condizioni economiche dell'Italia tra cinque-dieci anni. I problemi di medio periodo sono stati trascurati dal governo Berlusconi: non ha varato nessuna delle riforme strutturali essenziali per migliorare la crescita potenziale dell'Italia, sebbene potesse contare su una solida maggioranza in entrambe le Camere.
TRE DECISIONI, TRE PASSI INDIETRO
Perché il governo ha scelto il basso profilo in politica economica? Il livello del debito pubblico italiano non lasciava molto spazio per politiche fiscali anticicliche. Tuttavia, qualcosa di più per stimolare l'economia al manifestarsi della crisi poteva essere fatto. Per esempio, sarebbe stato possibile offrire un sostegno al reddito delle persone che hanno perso il lavoro attraverso una riforma del sistema degli ammortizzatori sociali, che sarebbe stata utile anche dopo la crisi.
Una possibile spiegazione per l'inazione del governo in questi due anni e mezzo è che le misure concordate dalla coalizione che ha vinto le elezioni nel 2008 non erano pensate per un paese che stava entrando in una grave recessione finanziaria ed è mancata una leadership capace di indicare le nuove priorità e definire provvedimenti adatti alla nuova situazione macroeconomica. E infatti nei suoi primi tre mesi di vita il governo aveva preso delle decisioni, tre in particolare, che sono state messe subito in fuorigioco dalla crisi.
La prima era una riduzione delle imposte sugli straordinari, una misura destinata a incrementare le ore di lavoro. Ovviamente, mentre la disoccupazione cresceva e molti altri paesi utilizzavano in modo massiccio il margine intensivo per contenere la perdita di posti di lavoro, abbiamo assistito a una rapida inversione a U: il taglio alle imposte sugli straordinari è stato accantonato ed è stato incentivato il lavoro a orario ridotto. Una sorte simile è toccata alla cosiddetta Robin Hood Tax che, secondo il ministro Tremonti, avrebbe dovuto tassare banche e petrolieri e fornire così le risorse da destinare ai poveri.
La tassa sulle banche ha dovuto essere trasformata in un impegno a garantire denaro fresco alle istituzioni finanziarie in difficoltà attraverso i Tremonti-bond.
Anche il piano di aumentare la tassa sulle raffinerie e sugli speculatori sul prezzo del petrolio, definito quando il prezzo del greggio era a 160 dollari, ha dovuto essere accantonato con il prezzo sceso a 30 dollari al barile. L'ultima misura presa all'inizio della legislatura è stata la cancellazione dell'Ici sulla prima casa, una delle maggiori fonti di entrata per le amministrazioni locali. Questa imposta non è ancora stata reintrodotta, ma il governo sta introducendo diversi nuovi tributi sugli immobili, che in definitiva dovrebbero ricostituire il gettito perso con quella decisione iniziale, tanto popolare quanto anacronistica.
LE RIFORME E L'EMERGENZA
Insomma, l'Italia ha perso altri trenta mesi senza realizzare quelle riforme che sono assolutamente necessarie per tornare a crescere. È vero che è difficile varare riforme in fasi negative del ciclo, ma un buon numero di riforme, per lo più strutturali, sono state attuate nell'Unione Europea proprio nel corso di una recessione. Il fatto è che le condizioni di emergenza economica sono situazioni di “politica straordinaria” nei quali è possibile dar vita a coalizioni più larghe per sostenere riforme di politica economica ad ampio raggio. Un governo che persegua un’agenda di riforme, in queste circostanze, rende consapevole l’opinione pubblica dell’emergenza che ci si trova ad affrontare e fa appello al senso di responsabilità dell’opposizione. Il governo Berlusconi, e i media direttamente o indirettamente controllati dal presidente del Consiglio, hanno scelto una diversa strategia di comunicazione. Hanno costantemente sminuito le dimensioni della crisi.
Una simile strategia di comunicazione può aver evitato il pesante calo di consenso sperimentato da altri governi nel corso della grande recessione, ma può rivelarsi controproducente. La delusione degli italiani verso Berlusconi sarà ancora più grande di quanto lo sarebbe stata se il governo avesse giocato a carte scoperte, presentando la situazione come è davvero.
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