giovedì 20 giugno 2013

Bocciato dalla Corte Costituzionale il "contributo di solidarietà"

La FLP informa che la Corte Costituzionale, con la sentenza 05.06.2013 n.116, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dall’articolo 24, comma 31-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, per violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione, ritenendo irragionevole e discriminatorio, e quindi costituzionalmente illegittimo, il prelievo sulle cosiddette “pensioni d’oro” pubbliche e private superiori ai 90 mila, ai 150 mila e ai 200 mila euro lordi l’anno, che era stato introdotto nell’estate 2011 dal governo Berlusconi e poi confermato dal governo Monti, e che vedeva interessati centinaia di magistrati, avvocati dello Stato, ambasciatori, docenti universitari, alti funzionari, dirigenti pubblici, ammiragli, generali, notai, giornalisti, manager pubblici e privati. 

Nel particolare, viene quindi bocciato l'articolo che dispone che "a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, i trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, i cui importi complessivamente superino 90.000 euro lordi annui, sono assoggettati ad un contributo di perequazione pari al 5 per cento della parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché' pari al 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro; a seguito della predetta riduzione il trattamento pensionistico complessivo non può essere comunque inferiore a 90.000 euro lordi annui." 

Secondo la Corte Costituzionale, il prelievo ha natura tributaria, in quanto comporta una riduzione definitiva del trattamento pensionistico, con acquisizione nel bilancio statale del relativo ammontare. Quando si tratta di fisco, però, le richieste devono essere proporzionate alla capacità contributiva dei cittadini (art. 53 della Costituzione: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”) che sono uguali innanzi alla legge (art. 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”) e non è possibile penalizzare alcuni e premiare altri, distinguendo fra diverse tipologie di cittadini.

Il verdetto dei giudici avrà conseguenze importanti per i pensionati interessati e per le casse dello Stato, che ora dovrà mettere a bilancio le spese per il rimborso della supertassa (avranno tutti diritto al rimborso degli importi trattenuti dalle loro pensioni per 23 mesi - dall'estate 2011 ad oggi - con rivalutazione monetaria e interessi sino al soddisfo e non dovranno più pagare nulla fino al 31 dicembre 2014. La restituzione sarà automatica da parte dell’Inps e degli altri enti previdenziali) e i mancati introiti (84 milioni di euro netti, 150 milioni lordi, che si sarebbero potuti risparmiare fino al 2014, data di scadenza del contributo di solidarietà). Si legge nella sentenza che, “l’Avvocatura dello Stato rileva che l’impatto sulla finanza pubblica della normativa censurata, alla luce delle relazioni tecniche presentate in Parlamento nel corso dell’iter di conversione del d.l. n. 98 del 2011, viene stimato in circa 26 milioni di euro per anno”. 

Pertanto, ad oggi, l’unico taglio solidale sui redditi ancora in vigore è quello previsto dalla manovra-bis del 2011, che chiede di dedurre il 3% lordo, quindi l’1,7% netto, alla quota di reddito superiore ai 300mila euro, qualunque sia la fonte di reddito. Una decisione che potrebbe provocare qualche grattacapo anche al Ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, che nei giorni scorsi aveva annunciato che i futuri provvedimenti sull'occupazione sarebbero stati finanziati anche tassando le pensioni d'oro. Il provvedimento della Consulta richiama alcuni principi già affermati nella sentenza 11 ottobre 2012, n.223 con la quale era stato ritenuto illegittimo un analogo “contributo di solidarietà”, sempre del 5%, riferito al taglio degli stipendi dei magistrati e delle retribuzioni dei dirigenti pubblici d’importo superiore ai 90.000 euro annui. Nel particolare, ricordiamo che con la sentenza 223/2012, è stato dichiarato illegittimo:  
  • l’art. 9, co. 22, del D.Lgs. 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui dispone che, per il personale di cui alla legge 19 febbraio 1981, n.27 (Provvidenze per il personale di magistratura) non sono erogati, senza possibilità di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012 e che per tale personale, per il triennio 2013-2015 l’acconto spettante per l’anno 2014 è pari alla misura già prevista per l’anno 2010 e il conguaglio per l’anno 2015 viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014; nonché nella parte in cui non esclude che a detto personale sia applicato il primo periodo del comma 21 e nella parte in cui dispone che l’indennità speciale (la cosiddetta “indennità giudiziaria”) di cui all’articolo 3 della legge n. 27 del 1981, spettante al personale indicato in tale legge, negli anni 2011, 2012 e 2013, sia ridotta del 15% per l’anno 2011, del 25% per l’anno 2012 e del 32% per l’anno 2013. 
  • l'art. 9, co. 2, del D.L. n. 78 del 2010, nella parte in cui dispone che a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi del co. 3, dell’art. 1, della L. 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica), superiori a 90.000 euro lordi annui siano ridotti del 5% per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10% per la parte eccedente 150.000 euro. 
  • l’art. 12, co. 10, del D.L. n. 78 del 2010, nella parte in cui non esclude l’applicazione a carico del dipendente della rivalsa pari al 2,50% della base contributiva, prevista dall’art. 37, co. 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato). 


Le questioni di legittimità costituzionale sottoposte all’esame della Corte, ed esaminate con la sentenza 05.06.2013 n.116, sono state promosse dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania in accoglimento del ricorso presentato da un magistrato, ex Presidente della Corte dei conti in quiescenza dal 21 dicembre 2007 e titolare di pensione diretta di importo superiore a euro 90.000,00 annui, e dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, in accoglimento dei ricorsi presentati da magistrati ordinari, magistrati della Corte dei conti, magistrati militari titolari di pensione ordinaria diretta, ovvero aventi causa da magistrati della Corte dei conti e da magistrati amministrativi . Sono intervenuti nei giudizi delle due Corti dei Conti regionali e della Consulta, l’Avvocatura dello Stato per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’INPS, nella qualità di successore ex lege dell’INPDAP. Di particolare rilievo è quanto riportato al punto 1.4 della sentenza, dove si legge che, “Il prelievo in questione, in definitiva, non solo non sarebbe idoneo a garantire risparmi di spesa o introiti tali da realizzare significativamente l’obiettivo di stabilizzazione della finanza pubblica, ma si presenterebbe come irrazionale e discriminatorio, essendo diretto a colpire una limitata categoria di soggetti, anziché la collettività nel suo insieme, nel rispetto del principio di proporzionalità, in violazione quindi sia del principio solidaristico, che di quello di uguaglianza e di assoggettamento al prelievo fiscale in proporzione alla capacità retributiva. 

Richiamando, poi, testualmente precedenti ordinanze di rimessione di altri giudici, il rimettente afferma che il legislatore avrebbe «inspiegabilmente ed ingiustificatamente aumentato gli squilibri, trascurando del tutto di colpire le ricchezze evase al fisco e persino gli introiti derivanti da rendite ben conosciute (quali le rendite catastali e finanziarie), per concentrarsi su una fascia specifica di pensionati, colpevoli unicamente di appartenere al settore pubblico e di avere redditi facilmente accertabili ed ancora più facilmente “attaccabili”». La FLP aggiunge, è vero che tale contribuzione straordinaria, limitata peraltro ad alcuni anni, non avrebbe risolto il problema dell’enorme debito pubblico fin qui accumulatosi, ma è altrettanto vero che il cd. “contributo di solidarietà” poteva costituire un esempio, che le classi dirigenti del nostro Paese potevano offrire ai comuni mortali, i quali si sognano stipendi o pensioni d’importo superiore a 90.000 euro all’anno. La Corte, peraltro, ad avviso della FLP, finisce per trascurare dettagli di non poco conto: Che le pensioni oltre i 90.000 euro non sono frutto di contributi versati durante il periodo lavorativo, ma costituiscono quasi sempre una rendita di posizione, concessa ad una casta di “privilegiati”. Solo infatti negli ultimi anni, com’è noto, per il calcolo della pensione si è passati dal sistema retributivo a quello contributivo (secondo il quale la pensione va calcolata tenendo conto dei contributi previdenziali versati). Con il previgente sistema retributivo, invece, la pensione era pari agli ultimi stipendi percepiti alla fine della carriera: un meccanismo folle, che ha contribuito non poco ad aprire una voragine nei conti dello Stato, di cui hanno approfittato in passato perfino i componenti della Corte costituzionale, i quali hanno istituito la singolare prassi di nominare presidente anche chi sta per terminare il mandato, al fine di consentirgli di godere dell’elevato trattamento pensionistico concesso al Presidente della Corte costituzionale; di qui, anche, per usare un termine ancora alla moda, un possibile “conflitto d’interessi” (uno dei tanti che tuttora esistono). Che il sacrificio imposto con il contributo di solidarietà del 5 per cento per le pensioni oltre i 90.000 euro a questi “super pensionati”, che hanno goduto e continuano a godere vita natural durante, oltre che di una munifica liquidazione, anche di una pensione sganciata dai contributi versati ma agganciata invece agli ultimi stipendi, era invero minimo e del tutto proporzionato alla loro capacità contributiva. Ma non si è voluto accettare neanche tale minimo sacrificio, con la speciosa argomentazione che il contributo “costituisce un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini” (quella dei super pensionati). Ancora più sorprendente è l’altra argomentazione, addotta per puntellare il ragionamento dei giudici, secondo cui la giurisprudenza della stessa Corte ha ritenuto in passato che “il trattamento pensionistico ordinario ha natura di retribuzione differita; sicché il maggior prelievo tributario rispetto ad altre categorie risulta con più evidenza discriminatorio, venendo esso a gravare su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative già rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta più possibile neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro”. Si finge di dimenticare che le super pensioni sono frutto di un sistema (quello retributivo) che ha finito per rendere la pensione una specie di “variabile indipendente” dai contributi versati nel corso del rapporto lavorativo. 

Che il perverso meccanismo del cosiddetto “galleggiamento stipendiale” previsto inizialmente e positivamente solo per il personale militare, fu esteso subito dopo proprio alla  Corte dei Conti, poi gradualmente anche ai magistrati dei TT.AA.RR. e del Consiglio di Stato allora in servizio, nonché agli alti dirigenti dello Stato, ivi compresi gli Avvocati dello Stato; non fu applicato invece ai magistrati ordinari, forse perché non ce ne fu il tempo. La verità è che, oggigiorno, nessuno vuole fare sacrifici, nemmeno coloro che, per la posizione rivestita, dovrebbero dare il buon esempio e se ciascuno di noi rimarrà arroccato nella difesa estrema del suo “orticello” (piccolo o grande che sia), non andremo da nessuna parte. In allegato, la sentenza della Corte Costituzionale del 5.6.2013 n. 116. ù

Dipartimento Studi e Legislazione 
L’UFFICIO STAMPA FLP

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ci si è preoccupati di dichiarare incostituzionale tali provvedimenti per categorie ultraprivilegiate e che ben potevano dare quel piccolo contributo. Non ci si è preoccupati di pensare ai pensionati poveri ma ricchi ( da 1200 euro in su ) sulle cui pensioni non si dà per due anni ( e speriamo non oltre) quella miseria della rivalutazione ISTAT !
Questo è un paese da vergogna !!!!!