C'è un problema di rispetto di competenze tra la politica e le altre funzioni pubbliche, nel nostro paese.
Da un lato alti burocrati, magistrati della varie giurisdizioni, giornalisti, persino vescovi, su certi temi.
Dall'altro, la politica: la quale, peraltro, la più massiccia invasione di campo la compie fin dall'inizio, attraverso il suo esorbitante potere di nomina, con il quale copre con un tappeto di amici fedeli l'enorme spazio di dirigenza pubblica dello Stato, delle regioni, dei comuni. Non esclusi organismi per definizione indipendenti, quali le autorità, per l'appunto indipendenti. Anche lì, spesso, amici fedeli.
Nella breve vita del nuovo governo, spuntano vari focolai di accusa o di sospetto verso uffici pubblici: dal presidente dell'Inps da tempo oggetto prediletto di queste vertenze preso in un fuoco incrociato tra i due vicepresidenti del Consiglio. Difeso e ricercato dall'uno in tema di vitalizi e pensioni da stritolare, sua specialità; inviso all'altro per le sue posizioni in tema di migranti, altra specialità; forse oggi in disgrazia presso il primo, per via di una spy story intorno alla relazione ministeriale del decreto legge, l'unico, sfornato dall'esecutivo.
Caso difficile da dirimere dall'esterno, per l'innegabile protagonismo del soggetto -attratto dall'elaborazione di politiche di governo più che dal ruolo - di amministratore; e per l'insofferenza della politica agli intoppi sul proprio cammino, come rivela la voglia di rimozione.
Ancora: il ministro Salvini ordina mandati di cattura per conto terzi, quasi fosse in un deserto di altre competenze, tanto da costringere il capo dello Stato a rimettere le cose a posto per il tramite istituzionale, il capo del governo.
L'accordo commerciale con il Canada (Ceta) offre il solito destro, guarda caso, per una minaccia di rimozione di pubblici funzionari in questo caso solerti e puntuali. E altro ancora.
Per equità, va ricordata l'inchiesta sul sistema bancario di un anno fa voluta dal segretario del Pd, con il fine di affossare proprio il vertice di un'autorità indipendente quale la Banca d'Italia. In generale, colpisce il frequente riferirsi del pluriministro Di Maio a conventicole operanti dentro gli uffici ministeriali per frenare l'azione del governo: compito non proibitivo, questo, per il momento, per la fattiva collaborazione dello stesso esecutivo.
La dirigenza pubblica deve collaborare lealmente con il governo, ricevendo l'indicazione di obiettivi chiari e documentabili; e disporre dell'autonomia garantita dalla separazione chirurgica tra organismi politici e burocratici .
È, questa separazione, il perno (sulla carta) dell'unica riforma della pubblica amministrazione che la politica ha saputo dare a questo paese, quella di fine secolo scorso del governo Prodi. Il culto dell'inesperienza, dell'incompetenza e della politica come attività marginale e temporanea in voga non da oggiporta con sé il rischio funesto di uno squilibrio a favore della burocrazia rispetto a governanti improvvisati.
Compito dei governi è quello di rimuovere questo rischio, facendo rapidamente le proprie scelte rispetto ai delicatissimi ingranaggi dello Stato, e abbandonando la tendenza a coprire i propri limiti, si spera momentanei, con generiche imputazioni di slealtà amministrativa. La legge lo consente. Possibilmente, non sostituendo dirigenti considerati di parte avversaria con altri fedeli alla propria causa. Lo Stato ha bisogno di terzietà e di rispetto reciproco, un infinito bisogno.
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