«Una crisi vera scuote l’intero Paese. Soffrono le imprese del Nord-Est, soffrono le famiglie del Mezzogiorno...».
Filippo Patroni Griffi abbassa gli occhi e va avanti in un ragionamento intriso di crudo realismo, ma anche di contagiosa fiducia: «L’Italia ha la forza per rialzarsi, per tornare a correre, ma oggi serve assoluta consapevolezza: il temporale non passerà in tempi brevi. Questo va detto, con chiarezza e con onestà».
Piano nobile di Palazzo Vidoni: l’ufficio del ministro della Pubblica amministrazione ha spazi larghi e soffitti affrescati. Lui, Patroni Griffi, spesso sorride, a tratti spiega, a volte si frena abbozzando una smorfia divertita: «Già da magistrato mi sentivo limitato nella libertà di pensiero, da quando sono ministro questa libertà è proprio finita». Gli argomenti si accavallano.
Il ministro parla di fisco e comprende l’attesa per un impegno concreto verso le famiglie. Ragiona di finanziamento ai partiti e sfida l’antipolitica. Poi si ferma sull’intervento più discusso: quello sul lavoro. E ribadisce la linea sull’articolo 18: «È un punto qualificante di un progetto su cui è stato trovato il giusto equilibrio e che non va - e non può - essere stravolto...». Patroni Griffi prende fiato, beve un caffè e chiarisce che la riforma che da tre mesi sta dividendo il Paese è solo il "primo tempo" di una partita che non sarà chiusa senza la "ripresa", ovvero l’annunciata delega per l’estensione delle nuove norme anche al pubblico impiego. Un secondo tempo da giocarsi, avverte, tutto «entro l’estate».
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